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Acqua, Petrella: "Una sola strada, ripubblicizzare"
Ci vorrà tempo, troppi interessi contro, ma per il fondatore del Comitato italiano Contratto mondiale sull’Acqua l'obiettivo è una bolletta differenziata che educhi al risparmio e distingua tra benessere individuale e collettivo
“Acqua bene comune”. Riccardo Petrella, 72 anni, attivista, professore presso l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio) e fondatore del Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’Acqua, ripete ormai questo concetto da anni, troppi forse. Una sorta di mantra attraverso cui arrivare alle menti e al cuore delle persone e che a distanza di tempo si rinnova in tutta la sua forza e importanza. A distanza di un anno e mezzo dal referendum italiano che sancì la natura pubblica e inviolabile di questo bene così prezioso gli italiani si trovano oggi a fare i conti con un paese allo stremo, distratto dalle troppe emergenze, ancora lontano dalla piena attuazione di quella volontà popolare espressa da più di venti milioni di persone. In occasione della celebrazione della “Giornata mondiale per l’acqua” Mareeonline.com lo ha incontrato per capire a che punto siamo.
Professor Petrella, a distanza di quasi due anni dal referendum la politica sembra essersi dimenticata di questo tema. I nuovi protagonisti però sembrano lanciare segnali positivi. Che ne pensa?
Il Movimento a 5 stelle ha tra le sue priorità quello della ripubblicizzazione dell’acqua. La sua vittoria elettorale è anche il risultato di una forte spinta da parte dei cittadini impegnati su questo tema, ma non solo loro. Avverto cambiamenti importanti anche in altre organizzazioni come Rivoluzione Civile e parte del Pd dove si comincia a discutere in maniera più decisa di questo tema. Io vedo che, con tutti i limiti del caso, ci siano comunque segnali di un cambiamento. Io credo sia in atto una dinamica di ricostituzione di una cultura politica che parta dalla “res pubblica”, i beni comuni. Il referendum non è stato solo una scintilla di reazione popolare ma la prima tappa di un processo di reinvenzione della cultura politica e del vivere insieme contro lo sfacelo della democrazia rappresentativa. Ci vorrà tempo, sicuramente, perché tante e forti sono ancora le resistenze. Basti pensare a chi oggi guida il Pd, Pierluigi Bersani, noto sostenitore dei processi di privatizzazione.
Sembra essersi dimenticato il partito di Vendola con cui ha condiviso una breve esperienza in Puglia come presidente dell’Acquedotto pugliese. Se n'è dimenticato?
No, non l’ho dimenticato. E’ lui che si è dimenticato di noi. Credo che Sel abbia fatto una valutazione politica erronea, il suo schiacciamento sul Pd lo ha reso meno libero su certi temi e quindi sconta un momento di grossa difficoltà di posizionamento di identità (e ruolo). Questo lo si riscontra anche in Puglia dove non va mai troppo avanti rimanendo su forme di pubblicizzazione mascherata.
C’è ancora rabbia per come andò a finire quando era alla guida dell'Acquedotto Pugliese?
La rabbia di quell’esperienza è la presa di coscienza che molte personalità politiche si trovano sempre in difficoltà quando hanno il potere e io mi dimisi da Presidente dell’Acquedotto Pugliese perché la situazione era chiara: da solo era non sarei riuscito a fare niente di efficace. Il dramma è rappresentato dal fatto che Nichi Vendola abbia atteso anni per fare poi un tentativo modesto.
Tornando al Referendum, su quali punti siamo in ritardo?
Direi su tutto. Innanzitutto sul primo quesito che ha abrogato la obbligatorietà dell’affidamento ai privati della gestione del servizio idrico di cui comunque ancora non c’è traccia. I comuni dovrebbero oggi formare una azienda pubblica speciale, oppure una impresa in house, ma ancora non succede. E poi c’è il secondo quesito che ha dichiarato incostituzionale quel 7% in bolletta a titolo di remunerazione del capitale investito (profitto del gestore) di cui però ancora c’è traccia anche se in maniera ridotta (6,5%). Oggi lo chiamano “copertura del costo finanziario”, ma in sostanza è la stessa cosa.
Chi rappresenta il freno maggiore?
Tutti sono responsabili. I ministri, i parlamentari ma soprattutto i governi locali. Tutti fino ad oggi hanno trovato giustificazioni per dilatare nel tempo l’applicazione del referendum. La versione “ufficiale” è che senza investimenti privati non si va da nessuna parte. La verità però è che si vuole far rimanere la spesa pubblica a livelli minimi in modo da rendere “necessari” gli interventi “esterni”. Questo però significa svendere un bene essenziale a logiche di profitto lontane dalla natura pubblica e inviolabile dell’acqua.
Il nodo da sciogliere in questo momento è quello delle tariffe. Voi cosa proponete?
Ripubblicizzazione: significa distinguere fra l’acqua necessaria alla vita, e quella necessaria per sostenere consumi non primari. Noi chiediamo una tariffazione che tenga conto di questa differenza. Noi chiediamo che fino a 50 litri a persona (soglia minima per la sopravvivenza) l’acqua non deve essere in bolletta ma sostenuta dalla fiscalità generale. C’è poi una fascia che va dai 50 ai 120 litri e che attiene all’igiene, al benessere collettivo e che può essere pagata con un contributo di cittadinanza. Infine c’è una fascia che arriva a 250 litri per consumi voluttuari che va pagata in relazione al reddito. Oltre i 250 litri si devono prevedere sanzioni e, in casi gravi, distacchi della erogazione (per il gettito al di sopra dei 250 litri). Una bolletta differenziata quindi che educhi al risparmio e sappia distinguere tra benessere individuale e collettivo.
Giuliano Rosciarelli - Roma
Link: Comitato italiano Contratto Mondiale sull'Acqua
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