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Lorna I e Hedia: due navi, un conto a Lugano
Nelle tragiche vicende di due naufragi si incrociano lo spettro del contrabbando di armi e una certezza: lo stesso armatore ombra, la Compania Naviera General di Panama con domicilio in una banca svizzera controllata dallo Ior
Un fatto dimenticato, una nave che è “come se non fosse mai esistita”. Con queste parole lo scorso aprile avevamo concluso la ricostruzione dello strano caso della Lorna I, l'imbarcazione scomparsa nel Mar Nero nel dicembre del 1977. Per primi vi avevamo riproposto il mistero di questo cargo battente bandiera panamense, salpato da La Spezia e svanito nel nulla insieme a tutto il suo equipaggio: ventuno persone, diciannove uomini e due donne, di cui non si ebbero mai più notizie. Secondo la versione ufficiale morirono tutti annegati a causa di una violenta tempesta che investì in pieno la nave. Solo un tragico incidente, insomma. Cose che capitano, specie se per necessità si è costretti ad attraversare i mari e gli oceani a bordo di vecchie carrette come la Lorna I.
Per quanto ci riguarda, riprendendo in mano le carte che raccontano la vicenda di quell'imbarcazione disgraziata, avevamo pensato fin da subito che potessero esserci delle zone d'ombra. Nella dinamica di quel naufragio alcuni particolari ci avevano lasciati perplessi: singolari coincidenze con altri disastri, curiosi intrecci tra società armatrici e raccomandatari marittimi, scarsità di detriti ritrovati a pelo d'acqua.
A convincerci a riparlare della Lorna I è stato un articolo pubblicato lo scorso 5 febbraio dal Secolo XIX: “Lorna I, sulla nave dei misteri ora qualcuno parla”. Il giornale cita una persona non meglio identificata ma comunque vicina alla famiglia di Giulio Maggesi, direttore di macchina scomparso nel Mar Nero, la quale si sarebbe decisa dopo ben trentasette anni a raccontare dei particolari inediti su quello strano affondamento. «I pochi corpi che vennero recuperati, dello sventurato equipaggio della nave Lorna I, erano crivellati di colpi - scrive il quotidiano ligure riportando le parole della fonte anonima - chi ebbe modo di vederli, all’epoca, parlò di “grossi fori” che si vedevano benissimo sui resti, nonostante fossero rimasti in mare. Li avevano passati per le armi, perché non fossero scomodi testimoni di quello che stava accadendo».
La scomparsa nel Mar Nero
Dopo essere partita da La Spezia la Lorna I, portarinfuse di centodiciotto metri e cinquemila tonnellate di stazza, fece scalo a Livorno il 30 novembre 1977. A bordo c'erano 21 uomini, tra cui tre italiani: il capitano Alfredo De Gregori di Camogli, il direttore di macchina Giulio Maggesi di La Spezia e la giovane Maria Grazia Cecchini, anch'essa originaria di La Spezia. Maria Grazia però su quella nave non avrebbe dovuto esserci. A quanto pare si imbarcò alla chetichella perché innamorata di uno dei marinai di quel cargo, gente di varie nazionalità: spagnoli, jugoslavi, tunisini, turchi, egiziani, romeni, cileni e kenioti. Per lo più povera gente reclutata in fretta, ultimi fragili anelli di una catena composta da armatori ombra, agenti, broker e autorità di paesi presta-bandiera.
La Lorna I era, forse, di proprietà della Miralta Cia Naviera di Panama, una società anonima che aveva un indirizzo europeo in Svizzera, a Lugano, e aveva a Venezia il suo raccomandatario marittimo italiano. Il “forse” è motivato dal fatto che, come vedremo, in questa storia nulla è scontato e che nel mondo degli armatori anonimi succedevano cose strane... chi si fida?
Ma torniamo alla nave e al suo viaggio. Dopo aver preso il largo dalla Toscana la Lorna I fece rotta verso sud discendendo il Tirreno, sfiorò la Sicilia e poi risalì lentamente lo Jonio. Una cartolina inviata da uno dei marinai italiani confermò il carico di una partita di minerali, 6824 tonnellate di ferro e nichel caricati a Durazzo il 6 dicembre 1977. Alcuni giorni più tardi il mercantile fece una breve sosta a Istanbul ripartendo infine verso quelle che sarebbero dovute essere le ultime tappe del suo viaggio: i porti di Sulina (Romania) e Ismail (URSS). Due destinazioni che la nave non raggiunse mai, perché all'improvviso, mentre si trovava in navigazione nel Mar Nero, scomparve in circostanze nebulose intorno al 10 dicembre 1977.
Cosa accadde? Affondata a causa di una tempesta improvvisa e micidiale, si affrettò a dire l'agente raccomandatario veneziano. Eppure fin da subito alcuni giornali iniziarono a parlare di «elementi che rendono fosca e intricata la vicenda». Ad esempio, secondo La Stampa del 28 dicembre '77, i familiari del comandante sostennero l'ipotesi che la nave fosse stata sequestrata dalle autorità militari russe, romene o bulgare. Perché? «Poteva essere carica di armi», concluse il quotidiano. Ma a queste parole tutti fecero orecchie da mercante, soprattutto dopo che la Guardia Costiera turca informò di aver ripescato alcuni frammenti del mercantile e quattro corpi. Solo che i pezzi, una volta esaminati, si rivelarono insufficienti per provare un avvenuto naufragio al di sopra di ogni altra ipotesi ed i cadaveri appena riportati a terra non vennero riconosciuti da un marinaio che aveva navigato proprio sulla Lorna I fino al novembre del 1977. Chi era questa persona? Non ne conosciamo il nome, ma è quasi certamente lo stesso uomo citato nel recente articolo del Secolo XIX. Il solo marinaio sbarcato prima che la nave ripartisse da Livorno «perché aveva saputo cosa portava», dice il giornale.
La figura di questo marittimo non vi ricorda quella di Fabio Bruni, il motorista scampato al disastro della Tito Campanella? Ovvero colui che per un certo tempo affermò che anche quella nave era al centro di traffici poco puliti ma che poi non se la sentì di testimoniare al processo? A noi sì.
Ad ogni modo l'ex marinaio della Lorna I, una volta chiamato a riconoscere quei poveri resti consumati dal mare, vide qualcosa di molto strano e inquietante. Capì tutto, ma allora non parlò. Lo fa solo oggi ed evidentemente per voce di qualcun altro: «Le immagini degli unici corpi ritrovati mostravano fori ovunque, come accade a chi viene colpito da una raffica di proiettili».
La maxi-inchiesta di Trento
Fino a che punto la testimonianza di quell'ex marinaio senza nome può considerarsi attendibile? E nel caso lo sia, cosa non avrebbero dovuto vedere i marinai della Lorna I ? Non lo sappiamo, perché alla Spezia non venne mai avviata alcuna indagine. Nel 1982 però, il nome del cargo panamense finì all'interno di un'inchiesta su un colossale traffico internazionale di armi e materiale radioattivo aperta a Trento dal giudice Carlo Palermo. «Si sa ancora poco», scrisse L'Unità riferendosi a quell'indagine, «ma si è appreso che l'attenzione si è indirizzata su una nave, la Lorna I, una vecchia carretta partita nell'ottobre del '77 dal porto della Spezia». E ancora: «c'è chi dice che il cargo sia affondato, chi sostiene che venne affondato di proposito. Perché?».
Il magistrato trentino ipotizzò l'esistenza di un andirivieni milionario di armi, fornite come contropartita all'eroina pura e morfina base che arrivava in Italia dalla Turchia. Le transazioni di materiale bellico sarebbero state curate da una galassia indefinibile di produttori di armi, trafficanti e mediatori, italiani e stranieri. Personaggi come il contrabbandiere siriano Henry Arsan o come Mehmet Cantas, accusati di organizzare trasporti di pistole, mitragliatori, missili, carri armati, elicotteri e materiale radioattivo nella zona mediorientale e in alcuni paesi dell'Est.
Alla fine l'indagine partita da Trento arrivò a coinvolgere capi della mafia turca, imprenditori, finanzieri, membri della loggia massonica P2, partiti, governi e personaggi legati ai servizi segreti italiani. Un insieme di interessi forse troppo grande...
Nel 1983 il processo scaturito dalla maxi-inchiesta vide alla sbarra 36 persone. In quel momento però Carlo Palermo era già stato allontanato dalla sua indagine, trasferito ad altra sede dal Consiglio Superiore della Magistratura, dopo aver citato in un mandato di perquisizione l'allora Presidente del Consiglio Craxi. I giornali parlarono un'istruttoria monca che si concluse con una raffica di assoluzioni. Ma c'è un particolare interessante: vennero tutti assolti perché allora il fatto, nello specifico l'intermediazione nel mercato delle armi, non costituiva reato. In Italia, per quanto assurdo possa sembrare, la legge non consentiva di colpire quelle attività.
Sulina, il porto delle nebbie
Forse non è un particolare di poco conto che la Lorna I fosse diretta a Sulina, il porto rumeno situato allo sbocco del ramo centrale del Delta del Danubio che ha trasformato la Romania nel primo paese pattumiera d’Europa. Una «pietra miliare» dei traffici illeciti di rifiuti provenienti dall’Italia, lo definì in una lettera al settimanale Famiglia Cristiana lo 007 Guido Garelli (personaggio coinvolto nel progetto Urano per lo smaltimento di materiale pericoloso in una depressione dell’ex Sahara spagnolo). Di certo il porto franco di Sulina rappresentava un salvacondotto per molti trasporti illegali e dal 1987 in poi divenne anche l’approdo privilegiato delle navi dei veleni provenienti dall’Italia.
Nella primavera del 1987 due mercantili carichi di rifiuti pericolosi, la Akbay I e la Corina, salparono dai porti di Marina di Carrara e di Chioggia diretti a Sulina. A commissionare i viaggi fu un’azienda italiana, che si impegnò a smaltire tramite la compagnia rumena Kimica ICE varie centinaia di barili d’acciaio per mezzo di incenerimento o conferimento in discarica. Ma era tutto falso: a Sulina non esistevano né inceneritori né discariche adatte a smaltire materiali tossici. Dopo essere state stoccate in via provvisoria nei magazzini del porto, le sostanze nocive dovevano semplicemente essere gettate nel Mar Nero.
Da un dossier di Greenpeace del 2002 si apprende che la Corina giunse in Romania l’11 aprile 1987 con 2796 fusti e solo cinque giorni più tardi la Kimika ICE emise un falso certificato attestante la distruzione dei rifiuti. Il 26 di aprile dello stesso anno la seconda nave, la Akbay I, scaricò nel porto rumeno 828 tonnellate di rifiuti industriali.
Lo stesso disegno criminoso prevedeva l’arrivo in Romania di 150.000 tonnellate di scorie all’anno pagate alla Kimika ICE circa 600 lire al chilo, quando lo smaltimento corretto in Italia sarebbe arrivato a costare oltre 2000 lire al chilo. Per l’Agenzia Ambientale delle Nazioni Unite il giro d'affari di queste operazioni illecite si aggirava sui 100 miliardi di lire (circa 50 milioni di euro). Ecco come, molto prima dello sbarco nei paesi dell'Est della criminalità organizzata, alcune aziende italiane facevano affari nel Mar Nero grazie alla complicità delle alte sfere del regime di Nicolae Ceausescu.
Lorna e Hedia: due navi, un destino
Sembrano esserci alcune connessioni tra la Lorna I e un'altra nave “sfortunata” di cui ci siamo già occupati più volte: la Hedia. Nel marzo del 1962, quindici anni prima della Lorna I, la nave da carico Hedia di proprietà della Compania Naviera General di Panama (ricordatevi questo nome), svanì anch'essa nel nulla nel Canale di Sicilia con a bordo venti uomini. Casualmente, anche quella volta la colpa fu data al mare: anche il Mediterraneo era in tempesta, una di quelle burrasche che non perdonano, proprio come quella che forse affondò la Lorna I nel Mar Nero. Tutto chiaro? Nemmeno per sogno, perché quella volta successe qualcosa di davvero incredibile.
Sei mesi dopo la sparizione della Hedia alcune delle famiglie dei marinai dispersi si dissero certe di aver riconosciuto i loro cari in mezzo ad alcuni prigionieri fotografati per caso nel consolato francese di Algeri. Ma la detenzione in terra straniera dei marinai, quasi tutti italiani, non venne mai provata. Così quei poveri parenti, già straziati dal dolore per la scomparsa in mare dei loro congiunti, furono per giunta ritenuti affetti da una psicosi collettiva.
Lorna I e Hedia: altri anni, altre rotte, eppure...
Il principale elemento che accomuna le vicende di queste due navi è che per entrambe si materializzò quasi subito lo spettro del contrabbando di armi. Per quanto riguarda la Hedia il primo ad ipotizzarne l'esistenza fu niente meno che il Ministero degli Esteri italiano: «Non si può escludere che la nave abbia imbarcato in Spagna o in Marocco delle armi destinate a qualcuna delle parti contendenti in Algeria (FLN od OAS)».
Al di là dei “si dice” c'è però una certezza, e cioè che anche la Hedia era appoggiata alla stessa agenzia veneziana a cui si affiderà la Lorna I. Un dettaglio insignificante se non fosse che anche l'armatore dei due cargo potrebbe essere stato lo stesso. Infatti nel 1983, in una controversia tra la proprietà panamense della Lorna I e la società noleggiatrice della nave, venne stranamente citata non la Miralta Cia Naviera, bensì la Compania Naviera General. Indirizzo in Europa: c/o Banco di Roma per la Svizzera, Lugano. Si tratta di un errore oppure come sembra anche la Lorna I, sparita nel 1977, appartenne allo stesso armatore ombra della Hedia, sparita nel 1962?
Quattro semplici domande
Se così fosse, visto che la statistica non è una materia per la quale ci sentiamo particolarmente ferrati, vorremmo rivolgere a chi è più bravo di noi quattro semplici domande:
1 - Quante possibilità ci sono che un armatore nel corso della sua carriera “perda” per due volte contemporaneamente nave ed equipaggio?
2 - Quante possibilità ci sono che entrambi questi naufragi avvengano senza lanciare il mayday, senza superstiti e senza testimoni?
3 - Quante possibilità ci sono che le due navi perse siano state appoggiate allo stesso raccomandatario marittimo?
4 - Infine, quante possibilità ci sono che su entrambe le vicende si sia bisbigliata l'esistenza di rotte “fantasma” per spostare qua e là carichi di armi?
Tutte le rotte portano a Lugano
Chi si nascondeva dietro la Compania Naviera General di Panama, l'armatore ombra della nave Hedia e forse anche della Lorna I ? Impossibile saperlo perché queste società anonime erano fatte apposta per nascondere l'identità dei loro veri proprietari. In pratica dietro queste compagnie paravento poteva esserci chiunque: io, tu che leggi e anche, per dire, lo stesso raccomandatario marittimo al quale la nave era appoggiata. Colpisce a riguardo ciò che scrisse La Stampa all'indomani della scomparsa della Lorna I: «Ora, di fronte a questa nuova tragedia del mare, ci si chiede se gli armatori ombra siano ancora una volta molto vicini a noi, a Genova, o magari a Venezia». Ovviamente, fino a prova contraria, dobbiamo sottolineare che si tratta solo di congetture.
Certamente in Svizzera, presso il Banco di Roma di Lugano, istituto dove la Compania Naviera General di Panama aveva il suo domicilio fiscale, conoscevano la verità. Questa banca, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non era una filiale della Banca di Roma italiana, ma un istituto di credito elvetico il cui pacchetto di maggioranza, nel 1977, era nelle mani del Vaticano attraverso l'Istituto delle Opere di Religione (IOR). La “santa” banca che da sempre ha come parola d'ordine il silenzio...
Massimiliano Ferraro - Imperia
Link:
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