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Climate change, l'insostenibile "meccanismo Varsavia"
Durante i negoziati la segretaria esecutiva della Convenzione Onu sul Clima si è scomodata per inaugurare la World Coal Association, promossa dal governo polacco per ribadire come il carbone sia la fonte fossile del futuro
Davanti a miserrimi risultati di questa ennesima Conferenza delle Parti Onu sul cambiamento climatico (COP19), questa volta in salsa polacca, le immagini dell’ultimo documentario-spot dell’IPCC, il Panel di scienziati che dà sostanza a tutto questo negoziato, sembrano un esercizio di stile. Per non parlare dell’aura di speranza quasi millenarista che circondava la COP15 di Copenhagen che solo quattro anni fa era riuscita a mettere al centro delle agende di chiunque, dal neo-presidente Obama alla signora Pina del piano di sotto la tematica del cambiamento climatico e delle conseguenze future di un tale disastro planetario. Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora. Forse troppa guardando agli ultimi eventi estremi che hanno colpito Filippine, Midwest statunitense, la nostra Sardegna ed una dimenticata Calabria. Ma delle grandi aspirazioni e dell’ambizione di allora non c’è più traccia.
Varsavia e la sua 19° COP hanno mostrato quanti interessi si muovano dietro la facciata del cambiamento climatico, quanto le grandi imprese siano in grado di condizionare, bloccare, controllare processi che dovrebbero essere trasparenti ed accreditati. In verità sarebbe bastato guardare agli sponsor, dalla linea aerea Emirates alla compagnia elettrica Polacca, da Bmw ad Opel, per capire che ci sarebbe stato un “do ut des” e che nulla, in questo mondo, è gratuito.
All’inizio della seconda settimana di negoziati, Christiana Figueres, segretaria esecutiva dell’UNFCCC (Convenzione quadro Onu sul clima) si è dovuta scomodare per inaugurare la due giorni della World Coal Association, promossa dal governo polacco per sottolineare come il carbone sia, ancora, la fonte fossile del futuro. Con alcuni aggiustamenti, certo, ma pure sempre di CO2 in atmosfera si tratta. E sono bastati due giorni per veder delegittimata tutta la Conferenza da parte del primo ministro Tusk, quando ha scelto di rimpiazzare il Ministro dell’Ambiente, anche presidente di turno della COP, con l’ex Ministro delle Finanza già entusiasta sostenitore del fracking.
Se il buongiorno si vede dal mattino, quindi, a Varsavia ha fatto da padrone la bonaccia. Non un soffio di ambizione per spingere le seppur leggere navi delle delegazioni ministeriali. Nessun impegno sostanziale per quell’accordo globale che sembrava essere stato la panacea di tutti i disastri già a Cancun, due anni fa, quando si decise una volta per tutte di mandare in soffitta un sistema vincolante di controllo delle emissioni (che coinvolgeva i Paesi industrializzati e che dava sostanza al Protocollo di Kyoto) per sostituirlo con un prossimo regime “pledge and review”, che imbarcherà sicuramente tutti Cina compresa, ma su un approccio che sarà sostanzialmente volontario.
Non per nulla nel “wording” dei documenti finali si è sostituita la parola “commitments” (impegni) con "contributi, senza pregiudizi di natura legale" per i Paesi che "saranno pronti" davanti alla necessità di mettere nero su bianco un percorso di "mitigazione delle emissioni" da qui al 2015. Anno in cui si metteranno le basi per un accordo che vedrà la luce, operativamente parlando, solo nel 2020. Tra sei anni, nonostante l’IPCC continui a ripetere che il picco di emissioni dovrà per forza essere raggiunto tra il 2015 ed il 2020. Il rischio? Non contenere più l’aumento di temperatura media del pianeta entro i 2°C, cosa già di per sé devastante per interi ecosistemi e comunità.
Sarebbe dovuta essere la COP della finanza per il clima. Ma nulla di tutto questo è stato deciso. I 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 rimangono scritti sulla carta, perché il Green Fund non è ancora stato reso operativo, e per ciò che riguarda il meccanismo del “loss and damage”, cioè chi paga e cosa davanti ai disastri dovuti a eventi estremi, i Paesi industrializzati hanno fatto orecchie da mercanti. Esiste un “Warsaw mechanism” sul tema, ma è sostanzialmente vuoto.
Il gentleman agreement tra grandi potenze ed imprese per rallentare il processo ha ancora dato risultati. I movimenti sociali? Dopo aver abbandonato la COP per protesta sarà necessario rivedere le strategie: riconnettere conflitti locali contro infrastrutture e combustibili fossili con un’advocacy globale. Gli appuntamenti sono molti: dalla Wto di Bali a dicembre alla prossima COP in Perù nel 2014. Quello che manca è il tempo, visti i disastri atmosferici che si stanno susseguendo, per riuscire ad invertire la rotta.
Alberto Zoratti (Presidente Fairwatch) - di ritorno da Varsavia
Link e video:
- Doha, la lobby dei fossili sulla conferenza Onu
- Climate finance, prima che sia troppo tardi
- Video Italian climate network: collegamento da Varsavia del 21/11/2013 con Daniele Pernigotti (La Stampa), Alberto Zoratti (Fairwatch), Francesco Martone (Forest People), Joshua Wiese (AdoptANegotiator), Luca Lombroso (FLA), Federico Brocchieri (Italian Climate Network) e la Rete dei giornalisti e blogger per l'ambiente
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