La Cina ha sete d'acqua e fame di energia
Anche in questa fase recessiva la Repubblica popolare cinese pianifica la strategia produttiva del futuro, alla base della sua onnivora ricerca di energia il pressing del mondo occidentale ed i nuovi mercati interni
Cina enterprise è alla ricerca di nuova linfa. L’apertura e la costruzione delle miniere di carbone e delle centrali elettriche nelle regioni a nord e ovest - nelle provincie ai confini della Mongolia, quelle di Shanxi, Shaanxi e Ningxia - ha un obiettivo da raggiungere: 2,2 miliardi di tonnellate di "prodotto energetico fossile", pari al 56% delle stime ufficiali che auspicano un totale di 3,9 miliardi di tonnellate per il fabbisogno dell'intero Paese entro il 2015. Obiettivo che prevede la costruzione di sedici nuove centrali energetiche a carbone per una quantità di energia prodotta pari a seicento GW (gigawatts). Dopo un ventennio di crescita economica ai massimi regimi, Bejing ha deciso di incrementare il numero delle centrali elettriche ed a carbone anche per fornire alla nuova classe media del paese - che si accalca nelle metropoli cinesi - gli stessi conforts e standards del mondo occidentale. Sia durante la fase di costruzione che quella di erogazione e gestione della centrale elettrica, nonché durante la fase estrattiva mineraria, una massa incredibile di acqua verrà prelevata dalle provincie vicine, le falde acquifere locali non saranno sufficenti ai fabbisogni giornalieri di queste centrali energetiche.
L'allarme era stato già lanciato da Greenpeace che da tempo monitorizza gli impatti ambientali che la “nuova Cina” sta via via sperimentando, a partire dalla faraonica costruzione delle tre dighe del Fiume Giallo nella provincia di Hubei, che come effetto collaterale ha indotto il trasloco forzato di circa un milione e trecento mila persone in 17 anni e un costo complessivo di 59 miliardi di dollari, a tutt’oggi il più grande progetto idroelettrico mai concepito e costruito. La domanda di acqua per la produzione e l’uso industriale intensivo nella trasformazione del carbone in energia con un consumo stimato è pari a circa 10 miliardi di metri cubi per il 2015. I ricchissimi altopiani Mongoli del Tavan Tolgoi contengono uno se non il più grande giacimento di carbone del pianeta, che sta gia dando i suoi frutti in termini di esportazioni in valuta pregiata per il governo mongolo; da parte cinese c’è sicuramente l’intenzione di allacciare le nuove centrali alle vie di trasporto del carbone mongolo e creare una infrastruttura energetica capace di soddisfare le richieste cinesi per almeno altri 20 anni.
A che prezzo? Le falde acquifere delle regioni nord orientali sono già di ridotte dimensioni, l’assorbimentto richiesto da una simile "griglia energetica" per il trattamento delle polveri, la bruciatura dei forni ed il lavaggio del prodotto grezzo, porterà inevitabilmente all’inquinamento - delle falde stesse - e ne ridimensionerà drasticamente la portata. Se uno spiraglio lo si può intravedere è dalla parte delle risorse alternative per la produzione di eolico e marino come si sta tentanto in un Europa; le casse di stato del drago cinese consentirebbe un salto nel 21 secolo in termini di tecnologia applicata alle risorse e risparmierebbe l’eredita pesante che un occidente industrializzato e miope ha dovuto pagare al pianeta dagli inizi degli anni quaranta.
Il problema dell’acqua in Cina non è relegato al nord del paese ma è parte di un problema di mercati e approvvigionamento creato dalla stessa nazione che deve rieperire le materie prime depauperando altri continenti e lasciando la qualità dei processi industriali e inclusi quelli zootecnici ad esempio, econ un alto tasso inquinante. Tra importazioni massiccie di soia e mais per soddisfare la domanda dell’occidente di prodotti finiti, le migrazioni delle campagne verso le città hanno raggiunto picchi di tre-quattrocento milioni di persone che hanno abbondonato le campagne per un futuro di gas, luce elettrica, acqua corrente, un frigo ed una macchina. Ma fino a quando?
Carlo Bochicchio - Londra
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