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La spina dorsale dei pesci è compromessa, quella dell'informazione non sta tanto bene
Di questo passo nella mappatura delle acque territoriali arriveremo ad avere una nuova, quanto unica, denominazione geografica facilitata: il Mar Nero d'Italia. Affamare la circolazione dell'informazione è affamare la democrazia
In questi giorni ho montato e smontato un piccolo contributo per il prossimo libro di Pietro Dommarco e nel farlo sono tornata a leggere James G Ballard e Rachel L Carson. Perché, oggi, il mio racconto del mare non può prescindere da questi due autori. Una consapevolezza che ho maturato mentre cercavo una immagine tanto forte quanto familiare per raccontare la ribellione silenziosa del mare, il nostro: l'Adriatico, lo Jonio, quello di Sicilia e di Calabria, quello Ligure e di Sardegna, il Tirreno.
Un bel pezzo di Mediterraneo che con lo "Sblocca Italia" del governo Renzi finirà definitivamente in mano a petrolieri e multinazionali. Sacrificando i già precari ma legittimi abitanti del mare: pesci, mammiferi, molluschi, pescatori e uccelli predatori; surfisti e velisti, riserve naturali, biodiversità, turismo. Compromettendo gravemente il futuro della costa, dei suoi cittadini, dei suoi lavoratori. Ipotecando la catena alimentare, la nostra salute. Di questo passo nella mappatura delle acque territoriali arriveremo ad avere una nuova, quanto unica, denominazione geografica facilitata: il Mar Nero d'Italia.
Ballard, dalle pagine consumate di un vecchio Urania prezzato 900 lire, con il suo ''The Burning World'' mi ha ricordato della siccità e della vendetta del mare che fabbricava polimeri. ''Si era scoperto che sulla superficie delle acque di tutti gli oceani del mondo, a una distanza di circa mille e cinquecento chilometri dalla costa si stendeva una sottile ma elastica pellicola monomolecolare formata da un complesso di polimeri a catena lunga, dovuta alla incredibile quantità di rifiuti industriali scaricata negli oceani durante i cinquant'anni precedenti. (...).
Le concatenazioni prodotte nel perfetto bagno organico costituito dal mare erano del tutto inattive e formavano un sigillo perfetto, che si rompeva solo quando l'acqua veniva disturbata in modo violento. Flotte di navi e motopescherecci equipaggiati con flagelli rotanti, avevano cominciato a fare la spola tra l'Atlantico e le coste del Pacifico nell'America del Nord, e lungo quelle dell'Europa occidentale, ma senza ottenere effetti durevoli. Anche la rimozione dell'intera superficie dell'acqua aveva dato solo un vantaggio temporaneo, poiché la pellicola si riformava in pochissimo tempo''.
Come non pensare al mare di Taranto, Marghera, Piombino, Brindisi, Gela, Augusta, Prilolo, Porto Torres. E a quel video del 2009 in cui Mara Nicotra, biologa, racconta al mio amico e collega Peppe Croce, di pesci con gravi malformazioni, come la spina bifida, pescati nella rada di Augusta-Priolo-Melilli e venduti nei mercati rionali. Uno specchio di mare avvelenato da un grosso polo petrolchimico che, dopo anni di attività, ha modificato l'ambiente marino. Nicotra stessa da anni raccoglie, e analizza, pesci che nuotano nei metalli pesanti. Ma cosa è stato fatto? Cosa possiamo fare? Provate a controllare da oggi la spina dorsale della spigola che state per mangiare.
Questa è la ribellione suggerita da Carson cinquant'anni fa. L'accesso alle informazioni. La condivisione virale della consapevolezza, per dirla ai tempi di Internet. Nel 1962 (due anni prima del citato romanzo di Ballard) nelle librerie americane esce “Silent Spring”, il libro con il quale la biologa analizza e denuncia le conseguenze sull'ambiente e sulla salute dell’uso massiccio di Ddt nell’allora fiorente agricoltura estensiva. Immediata la reazione della lobby dell'industria chimica che cercò di minimizzare i risultati dei suoi studi, bollandola come catastrofista, e di avere simpatie comuniste. Lei senza battere ciglio, un anno dopo, chiese al congresso americano l'adozione di nuove politiche in grado di proteggere gli uomini e la natura da un uso indiscriminato dei pesticidi. Carson non visse abbastanza per vedere le sue preoccupazioni e le sue conclusioni riconosciute con la messa al bando nel 1972 del Ddt da parte dell'Epa, l'agenzia americana per l'ambiente.
Un lavoro divulgativo, il suo, che avvicinò per la prima volta l’ecologia alla vita quotidiana delle persone comuni. Prima di allora nessuno aveva reso disponibili e comprensibili al pubblico più vasto, agli utilizzatori finali dei veleni dei pesticidi, quella mole di dati nota da tempo soltanto agli addetti ai lavori. Nacquero così i primi i movimenti dal basso che presero coscienza dell'importanza di incidere sulle scelte politiche. La stessa Carson definì “citizen’s brigade” le persone, i comitati di cittadini, che si organizzavano tra loro per prendere posizione contro politiche ambientali nocive.
Ed è nelle prime righe della sua "Primavera Silenziosa" che Carson descrive una tragedia senza ritorno, volutamente enfatizzata: "La popolazione cadde sotto il potere di una diabolica magia; il pollame fu decimato da misteriose malattie; i bovini e le pecore si ammalarono e perirono. (…) Gli uccelli, per esempio: dov’erano andati a finire? (…). La primavera era ormai priva del loro canto. (…) Giunse per i meli la stagione della fioritura, ma le api non danzavano più tra le corolle; non vi fu quindi impollinazione e non si ebbero frutti. I bordi delle strade (…). Anche i corsi d’acqua erano rimasti spopolati. Ed i pescatori li disertavano, giacché tutti i pesci erano morti. Nelle grondaie e tra le tegole dei tetti apparivano tracce d’una polvere bianca e granulosa; essa era caduta come neve, qualche settimana prima sulle case e sulle strade, sui campi e sui fiumi. Nessuna magia, nessuna azione nemica aveva arrestato il risorgere di una nuova vita: gli abitanti stessi ne erano colpevoli''.
Una metafora talmente potente da potersi adattare, più di cinquant'anni dopo, anche agli scenari che si delineano in Italia. E queste sono anche le storie che ci interessa raccontare. A modo nostro, con i nostri tempi. Dove la realtà è pronta a superare gli scenari disegnati mezzo secolo fa dalla science fiction ballardiana: ''la difficoltà sempre maggiore di compensare le riserve alimentari mondiali, aveva consigliato la creazione di un organizzato controllo meteorologico mondiale''.
In queste settimane di silenzio ci siamo ripuliti di una serie di zavorre che hanno rallentato il nostro lavoro, grazie al nostro insostituibile Vladislav Popov: il webmaster che tutti vorrebbero avere. Soprattutto quando si è digiuni di linguaggi e sistemi accatiemmelliani e non si possiede un editore dal portafoglio gonfio. Tant'è che ricominciamo a raccontarvi le nostre storie d'acqua. Quelle che trovate solo su Maree, siamo gli unici che riescono a raccontarvi certe storie, grazie al lavoro di inchiesta libero da pressing editoriali, certo con i nostri tempi, tra un lavoro pagato e l'altro.
Se fosse sfuggito, in questo momento, ognuno di noi per vivere lavora e collabora con editori paganti o che pagheranno, si spera (e penso a Massimiliano Ferraro e Pietro Dommarco). Tra di noi c'è chi studia (Eleonora Battaglia) chi è espatriato per sopravvivere al triste e pulciaro mondo editoriale nostrano, per vedersi poi riconoscere il giusto valore del suo lavoro da giornalista d'inchiesta oltrecortina (Stefania Elena Cranemolla) e chi suo malgrado si e' fatto zavorra del lavoro di tutta la squadra per una serie di sfortunati eventi, come la sottoscritta.
A questa squadra, quest'estate, si è aggiunta quella di MareNero con Alda Teodorani, coadiuvata da Ivo Scanner e Antonio Tentori. Una rivista di narrativa di genere, tecnicamente un pdf da scaricare gratuitamente su Issuu, un progetto ambizioso anche questo, che ha preso quota grazie alla qualità, anche qui, degli autori che hanno permesso l'uscita gratuita dei primi quattro numeri. Macabro, estremo, neo-noir, insolito, lugubre, inquietante, atroce; inediti, esordienti e autori affermati nella rivista che tanto ci mancava.
Dove stiamo andando? Verso un consolidamento della Fabbrica di Maree. Se vi piace il nostro lavoro, le nostre storie, le nostre inchieste, continuate a leggerci davanti ad un caffè o se preferite ad una tazza di tè. Noi ci fermiamo soltanto quando il nostro lavoro per Maree cozza con i nostri limiti, le risorse economiche. Per poi ripartire più forti e consapevoli della nostra vera ricchezza, i lettori.
La difficoltà sta nel trovare sponsor forti e sostenibili, senza che questi possano inficiare la nostra autonomia e indipendenza. Ma chi investe oggi nella libera informazione? Di cosa abbiamo bisogno in questo momento? Lettori e caffè condivisi, ogni giorno. Con Tradedoubler e Google Adsense non siamo ancora riusciti a pagarci una cena di redazione. E in questo momento l'informazione, la produzione di notizie intesa come lavoro giornalistico, consapevole e ponderata, va difesa da ogni attacco, corporativo o di lobby che sia. Il giornalismo non può essere un mestiere per ricchi, per pochi, tantomeno un hobby. In questo senso, affamare la circolazione dell'informazione è affamare la democrazia. E' negare la possibilità a noi tutti, cittadini e lavoratori, di decidere il proprio destino. La spina dorsale dei pesci è già compromessa, quella dell'informazione non sta tanto bene. Spero di essere stata abbastanza catastrofica.
ps. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola. Cit. PPP
Sabrina Deligia
sabrina.deligia@mareeonline.com
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