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Giù negli abissi, nel regno dei cyberfish
Dal polpo Alfa alla tartaruga Myrtle, la robotica marina decifra i segreti dell'acqua. Se nel 2003 un esercito di cyberaragoste è stato messo alla prova in Afghanistan, oggi a Livorno si alleva una nuova generazione di robot
A Livorno, ai Bagnetti Caldi dello Scoglio della Regina, è di casa il polpo. Solo che è un robot. Qui, nel 2009, è stato inaugurato, diretto da Paolo Dario, il Centro di Ricerca per le Tecnologie del Mare e la Robotica Marina della Scuola Sant'Anna di Pisa. A Livorno si progettano sistemi robotici sensorizzati per il monitoraggio delle acque, nonché robot, in particolare per l’osservazione e l’esplorazione dell’ambiente marino, ispirati a piante e animali. La robotica marina trova oggi vaste applicazioni nello studio del mondo marino, in attività di monitoraggio ambientale, nella sicurezza dei traffici marittimi, nell’organizzazione tecnologica della cantieristica, nonché nell’ambito delle riparazioni navali, della logistica portuale e dell’archeologia subacquea. Robot vengono inoltre impiegati in aree offshore per la costruzione e manutenzione di oleodotti e gasdotti, deposito di fibre ottiche, esplorazione dei fondali alla ricerca di materie prime o in attività di ecotomografia marina. L’idea di un polpo robot nasce da un’intuizione di Cecilia Laschi che alla Scuola Sant’Anna insegna Bioingegneria. Il progetto, sostenuto da fondi comunitari, si chiama Octopus. Ma perché proprio un polpo? Il polpo, spiega Paolo Dario, viene studiato per trarne ispirazione in termini di funzionalità muscolari, controllo nervoso, capacità locomotorie. È come se, dice Cecilia Laschi, avesse più neuroni nei tentacoli che nel cervello, quasi un cervello sparpagliato nelle braccia, ciò che lo rende un soggetto interessante sia per capacità motorie che per comportamento intelligente. Grazie alla sua struttura flessibile il polpo riesce infatti ad adattare il proprio corpo all’ambiente, torcendosi, allungandosi, curvando il braccio in qualsiasi direzione. Il polpo Alfa, di cui i ricercatori hanno studiato forma e comportamento, è stato il primo a essere ospitato nel centro livornese. Primo passo è stata la costruzione di un braccio robotico, ora perfezionato, a imitazione della sua struttura muscolare. I ricercatori hanno quindi realizzato un prototipo a più braccia in grado di muoversi sul fondale, afferrare e manipolare oggetti. La creazione di una nuova generazione di robot a otto braccia dal corpo molle e flessibile e dalla grande capacità di manipolazione in termini di destrezza, velocità e controllo, dicono i ricercatori, potrà un giorno garantire alte prestazioni nella mobilità, l’ideale per compiti di manutenzione, liberazione, salvataggio, esplorazione dei fondali marini (dove il polpo robot potrà muoversi su sottostrati diversi o ancora introdursi in ambienti angusti e impraticabili) suggerendo nel contempo soluzioni ingegneristiche a elevato contenuto tecnologico nel settore dei materiali, dei sensori e degli attuatori del controllo. Il progetto Octopus riflette il recente interesse della robotica per la biomimetica. Per il progetto AquaJelly la tedesca Festo, società specializzata in tecnologie per l’automazione, si è ad esempio ispirata alla medusa. Così come per il progetto AirJelly, dove tentacoli costituiscono il sistema di propulsione di un pallone di elio. Myrtle è invece una tartaruga che da quasi mezzo secolo vive al New England Aquarium. Stephen Lynch del Mit di Boston l’ha studiata realizzando un Auv dotato di alette laterali a imitazione delle membrane natatorie delle tartarughe marine. Il sofisticato sistema di locomozione idropneumatico degli echinodermi come ricci e stelle marine, che si spostano sul substrato grazie alla trazione esercitata da pedicelli gonfi d’acqua terminanti con una ventosa, potrebbe un giorno portare alla costruzione di robot per l’avanzamento lungo i fondali. Nel frattempo la remora comune, pesce d’alto mare a disco ovaloide con cui aderisce alle superfici come una ventosa, ha suggerito ai ricercatori dello Autonomous and Defensive Systems Department del Naval Undersea Warfare Center di Newport la costruzione di un Auv dotato, oltre che di pinne rullanti e asse di beccheggio, di ventose, con esperimenti condotti su superfici di plexiglas. Provvisto di pinne natatorie e piedi di gomma per il movimento a terra è invece Aqua, robot esapode anfibio per l’esplorazione e lo studio dei fondali, frutto della collaborazione fra la Dalhousie University, la York University e la Mc Gill University. In Giappone alcuni ricercatori del Department of Naval Architecture and Ocean Engineering dell’università di Osaka hanno invece realizzato un robot calamaro dal corpo piatto, destinato al monitoraggio degli oceani, provvisto di due pinne di gomma che arricciandosi ritmicamente aiutano il robot nella sua progressione. Il professor Huosheng Hu della School of Computer Science and Electronic Engineering dell’università di Essex, in Inghilterra, ha una predilezione per i pesci robotici che studia e realizza da anni. A lui si deve Robofish, una carpa a pinne meccaniche per il monitoraggio ambientale delle acque il cui scheletro alloggia chip, sensori chimici, antenne wi-fi, moduli Gps. Quello della carpa robot rientra nel progetto Shoal per il monitoraggio dei bacini portuali alla ricerca di inquinanti e contaminanti cui fonti siano le navi o le condotte sottomarine. La tecnologia, basata su un network di swarm intelligence, i pesci robot potranno cioè comunicare fra di loro ricorrendo a un sistema a ultrasuoni convergendo nella zona a seguito del segnale di un cyberfish che abbia individuato un contaminante o un inquinante, consentirà alle autorità portuali, raccolte le informazioni pervenute al centro di controllo a terra mediante il sistema wi-fi in dotazione ai robot, di realizzare una mappa tridimensionale del porto con l’indicazione delle zone a rischio. Robolobster è invece il nome di un robot a otto zampe e muscoli artificiali per il quale i ricercatori del Northeastern University’s Marine Science Center di East Point a Nahant, nel Massachussets, si sono ispirati all’aragosta. Nel 2003 robot aragosta sono stati impiegati in Afghanistan durante l’operazione Carpathian Thunder nella provincia di Zabol per l’esplorazione di caverne e altre cavità alla ricerca di armi e ordigni talebani. Grazie a speciali sensori che gli consentiranno di adattarsi a onde e cambiamenti di corrente il robot aragosta potrebbe un giorno venire utilizzato anche per il rinvenimento di mine all’interno dei porti o lungo i territori costieri.
Stefania Elena Carnemolla - Milano
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