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Seastead, nuove frontiere e vecchie oligarchie
Città sospese sull'acqua a prezzi accessibili, cargo galleggianti o atolli del lusso, comunità industriali e scientifiche a sé stanti, tutte con un unico denominatore: la vastità del mare e l'autonomia dal continente emerso
In un mondo sempre più affollato di merci e persone, si riaffaccia un'idea quasi rivoluzionaria come soluzione a tutti i problemi; e se non fosse abbastanza, c’è anche un istituto ad hoc, un think thank per promuovere idee e nuovi orizzonti per delle vere e proprie "città-stato" adagiate su piloni che affondano nelle profondità dei nostri mari o galleggianti sugli oceani: seasteadings.
Città delle scienze o cargo galleggianti, atolli del lusso per privilegiati o realtà industriali e scientifiche a sé stanti, tutte con un unico denominatore: la vastità del mare, isole artificiali e la completa autonomia dal continente emerso del nostro pianeta. Devo ammettere che mi intriga questa nuova frontiera dei mari e al tempo stesso il mio cinismo comincia a smorzare l’entusiasmo di questa nuova utopia.
Ma che cosa è una città galleggiante indipendentemente dall’uso che se ne può fare? Per capire si può partire dall'idea e dal progetto di Koen Olthuis, architetto olandese, che durante la Biennale di Venezia nel padiglione britannico ha esposto la sua "idea di casa e spazio recuperato al mare" - forte della sua esperienza di lavoro nel suo paese - nella mostra dal titolo esplicativo: “The Dutch Way”. Olthius progetta e costruisce "pezzi di città" sull'acqua per combattere la congestione urbana, con tecnologiche e modalità che tengono conto del cambiamento climatico ed in quest'ottica ha progettato anche Sea Tree: un albero artificiale che permetterà a flora e la fauna locali di preservarsi e riprodursi senza essere disturbati dalla presenza dell’uomo. Una struttura pensata per ospitare varie specie di animali e piante che vivono sia sott’acqua che in superficie. Un rifugio per molte specie viventi che non verrà ospitato sulla terraferma bensì sull’acqua, in prossimità cioè di bacini idrici come laghi o sul mare. La struttura sarà fissata sul fondale e sfrutterà per un fine più nobile la tecnologia delle torri di stoccaggio per il petrolio che si trovano vicino ai giacimenti offshore. Ma non tutte le idee intorno alle "città-stato" sospese sull'acqua affondano le loro radici in progetti politically correct.
Progetti, la cui realizzazione, è più vicina di quello che pensiamo. Per Max Marty fondatore di Blueseed.co che monitorizza i progetti per i finanziamenti, si potrà mettere "il primo mattone sull'acqua" agli inizi del 2014. Blueseed ha come progetto la costruzione di un "incubatore di imprese galleggiante" al di fuori delle acque territoriali statunitensi, a largo della California in acque internazionali. Il progetto prevede la conversione di una nave da crociera, da registrare presso il registro navale di qualche Stato che non faccia richieste stringenti all’armatore (si parla delle Isole Marshall o delle Bahamas).
Nei fatti, Blueseed offre a futuri imprenditori la possibilità di vedere crescere il loro start up in mezzo al mare, lontano dai vincoli burocratici dell’immigrazione americana in un seastead. Un "vascello" con vari tipi di confort e non lontano dalla Silicon Valley consentirà a quei progetti ed i loro imprenditori di non preoccuparsi del visto d’ingresso negli Stati Uniti. Spazi di diversa fattura con esperti di settore sia nel ramo finanziario che amministrativo nonché informatico cercheranno di dare appoggio logistico a tutti coloro che ne faranno richiesta, affitti mensili variabili verranno applicati a seconda delle prestazioni e degli spazi richiesti. Il progetto è sostenuto anche da Peter Thiel, fondatore di PayPal ed azionista di Facebook, l’idea di riutilizzare vascellie navi crociere per addattarne lo spazio alle esigenze degli imprenditori ospiti apre sfide interessanti e qualche perplessità.
Per ora, varie fonti di stampa, parlano di adesioni al progetto basate su affitti a partire da $1600 al mese. Ma i risvolti legati ai seasteads sono poliedrici, per cominciare quasi tutti i sono finanziati da joint venture e compagnie private, che non guardano a mio avviso unicamente al loro Roi (return on investment) ma si proiettano nel lungo termine con modelli sostitutivi ai governi centrali ed alla burocrazia. Lo stesso TSI (The Seasteading Institute) nel suo mission statement parla di “pionieri” che sperimentano nuove idee di governo ed assetti politici che si spera “inspirino” nuove visioni e cambiamenti nei governi già esistenti sulla terra.
E chiaramente non mancano le critiche da varie parti, a cominciare da alcuni bloggers un po’ sparsi ovunque, io mi associo per alcune idee alle obbiezioni sollevate da “Bottom Up” un blog curato da Timothy B. Lee. Il progetto politico secondo Lee è fondamentalmente minato nei suoi principi libertari, nella relazione fra mobilità, creazione della ricchezza e potere centrale dei governi. Il rapporto tra libertà assoluta e dispersione geografica che varierebbe a secondo della convenienza di relazione stabilita su queste nuove città, porterebbe a forgiare relazioni di ogni tipo su una base più solida e stabile nel lungo periodo e crerebbe la necessità di una nuova forma di governance del tutto simile a quella da cui si scappa. Rimane tuttavia una "fascinazione" per un progetto che sulla carta ha delle attrative che non possono essere ignorate; un esperimento da un punto di vista ingegneristico, avveneristico, sociale, legale e governativo va supportato al livello di principio.
Tuttavia, se la competizione è uno stimolo positivo in vari campi della vita moderna, può non esserlo per quei governi che potrebbero vedere nei seasteadings una minaccia ai loro equilibri ed interessi. Ed è propio qui che si apre una porta sulle possibili ripercussioni che francamente hanno un sapore meno “final frontier” e più oligarchico.
Penso, ad esempio, che progetti simili possano essere facilmente dirottati da interessi economici di dubbia provenienza, prove di governi non propio democratici, o essere dei paradisi fiscali con prodotti finanziari non verificabili per non parlare di traffici illeciti ai quali un tale progetto potrebbe essere la risposta a tutti i problemi.
La cosiddetta parte "meccanica" va comunque non trascurata, il mare va rispettato e accettata la sua forza distruttiva, nel 1980 a largo delle coste del mare del nord la piattaforma che ospitava gli alloggi dei lavoratori delle infrastrutture petrolifere norvegesi si inabissò con cedimenti strutturali e 123 lavoratori persero la vita. Il disastro della Kielland è un monito inevitabile a tutti progetti da mettere in cantiere per seasteds di ogni tipo, considerando che l’elevato numero di residenti che ne farebbero parte. Solamente grandi compagnie ingegneristiche per grandi opere e grandi gruppi industriali internazionali hanno per ora i "muscoli finanziari" per dare vita a seasteads di un certo significato, tuttavia si tratta pur sempre di una oligarchia finanziaria illuminata (potrei dover rivedere l’aggettivo) che partendo con piccoli passi possa dare vita ad una realistica alternativa ad aggregazioni comunitarie già esistenti e con un forte legame con gli stessi stati già esistenti. Una utopia che possa fare da laboratorio ad alternative di vita che tutti conosciamo, spero solo di non assistere alla nascita di una Las Vegas 2 nei sette mari.
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