Le stelle di Lampedusa e un bambino su una barca di legno
“Mamma, non so dove sono, sono venuti a prenderci e ci hanno portato in salvo, ma intorno a me vedo solo muri e filo spinato. Forse è questo il Paese dove tutti sono felici?". Storia illustrata di Rosa Cerruto
Lampedusa, isola generosa del Mediterraneo, dove la legge del mare urta contro l’ottusa legge degli uomini, porto di diseredati dove la bontà degli abitanti si scontra con l’arroganza delle autorità italiane, è l’isola dei tanti bambini che vi arrivano su barche di legno, sognando una vita migliore. C’è chi muore in mare, c’è chi si salva. Molti arrivano da soli. Come il bambino soldato in fuga dal suo paese africano rinchiuso tempo fa in violazione del diritto minorile in un centro di permanenza temporanea dell’isola.
“Mamma, non so dove sono, sono venuti a prenderci e ci hanno portato in salvo, ma intorno a me vedo solo muri e filo spinato. Forse è questo il Paese dove tutti sono felici? Mi sento prigioniero qui, siamo come dei fantasmi”. E' il bambino di Le stelle di Lampedusa, la bella storia illustrata di Rosa Cerruto, architetto e illustratrice italiana che oggi vive in Olanda.
Studentessa Erasmus alla Universitat de Girona, in Spagna, laurea allo IUAV di Venezia, allieva della Scuola Internazionale d’Illustrazione di Sàrmede, fondata da Štepán Zavel, Rosa Cerruto ha lavorato in diversi studi di architettura sia in Italia che in Olanda collaborando con riviste specializzate prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività di illustratrice freelance, realizzando illustrazioni per clienti privati, editoria, aziende, eventi culturali, partecipando a numerosi concorsi internazionali con i lavori selezionati quindi inseriti in catalogo e con le sue illustrazioni esposte in Italia, Olanda, Belgio,Turchia.
Le stelle di Lampedusa, storia di un bambino partito su una barca di legno per il Paese della Felicità e rinchiuso dopo il naufragio in un centro di Lampedusa, nasce dalla lettura di Invisibili, articolo di Maurizio Dematteis con immagini di Simone Perolari pubblicato su Volontari per lo Sviluppo: “Un ragazzino siede sul molo del porto di Lampedusa in stato di choc insieme ad altri immigrati clandestini. Ha 10 anni. Accanto a lui un connazionale di appena 6. Sono sbarcati sull’isola siciliana nella notte, con un centinaio di altri compagni di sventura clandestini. Sono arrivati alla ‘porta d’ingresso d’Europa’ su due piccole imbarcazioni di legno stracariche, dopo tre giorni di navigazione in balia delle correnti. Il ragazzino più grande viene immediatamente avvolto in una coperta termica per scongiurare l’ipotermia. L’altro rimane tra le braccia della mamma. Intorno, decine di agenti delle forze dell’ordine italiane. Nessuno, a parte gli operatori di Medici senza frontiere, si cura di loro. Dopo quasi quattro ore, eseguite tutte le procedure del caso, vengono caricati con gli adulti sui furgoni della Misericordia di Palermo. Destinazione: il Centro di prima accoglienza di Lampedusa”. Una storia di cui Maurizio Dematteis e Simone Perolari sono stati testimoni oculari nell’estate del 2005.
L’accusa è grave: le autorità italiane violano e non da oggi le leggi nazionali e internazionali a tutela dei minori e del loro benessere, come la legge sull’uguale trattamento dei minori italiani e stranieri sul territorio nazionale e, in particolare, la convenzione di New York, ratificata nel 1991 dall’Italia, che “vieta tassativamente la detenzione di minorenni in assenza di reati”.
Ciononostante i minori che arrivano in Italia via mare vengono rinchiusi dopo lo sbarco con gli adulti in strutture sempre più fatiscenti, sempre più lager, dove chi è scampato alla morte per acqua dorme tra il fango, per terra o su materassi nauseabondi: “Sono minorenne e non posso stare qui perché tutte le persone che sono qui non vogliono che sto con loro perché io sono un bambino. È troppo brutto stare qui. Non dormo la notte e vi chiedo gentilmente, lasciatemi andare via da qui il più presto possibile. Grazie”, così ad esempio il piccolo Mislim.
Un grido d’aiuto raccolto tempo fa dalla sezione italiana di Amnesty International: “I minori sono le prime vittime del fallimento delle politiche italiane in materia di asilo e immigrazione. Sono resi invisibili dall’assenza di statistiche e dalla generale mancanza di trasparenza dei centri di detenzione e costretti a vivere, talvolta per lunghi periodi di tempo, in condizioni inadeguate, senza la possibilità di contestare la legittimità della loro detenzione”, così nel 2006 Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty Italia presentando Invisibili. Minori migranti detenuti all’arrivo in Italia, rapporto a cura di Giusy D’Alconzo, ricercatrice Amnesty, nato dopo la segnalazione di circa novecento casi di minori detenuti nei centri di permanenza italiani dal 2002 al 2005.
Un’accusa contro il governo italiano, colpevole della violazione degli standard internazionali sulla tutela dei minori, detenzione, diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. Minori talora espulsi a causa di uno “scorretto giudizio sulla loro età”, frutto del ricorso, benché vietati, a esami medico legali.
Eritrea, Etiopia, Somalia, Tunisia, Marocco, Iraq e ancora quei paesi flagellati da violenza e povertà, sono questi gli invisibili del rapporto, i minori rinchiusi con il silenzio complice di molti: “È assolutamente inaccettabile e contrario alla legge” così Giusy D’Alconzo “che i minori, con o senza i loro familiari, siano sistematicamente detenuti al loro arrivo in Italia. Dopo un viaggio drammatico in cui possono aver rischiato più volte la vita, i minori non accompagnati vengono spesso sottoposti a perquisizioni corporali e possono vedersi confiscati i loro effetti personali.Vivono dunque, ancora una volta, una situazione drammatica: quando vengono trasferiti nei centri di detenzione e poi al loro interno, dove possono trovarsi in condizioni precarie, insieme ad adulti con cui non hanno alcun grado di parentela. Spesso ai minori, accompagnati e soli, non vengono fornite informazioni o assistenza di tipo legale. In alcuni casi, i minori non accompagnati rischiano di essere respinti verso i paesi da cui sono fuggiti, a causa di una inaccurata valutazione della loro età”.
Quando il rapporto fu pubblicato, il Ministero dell’Interno negò tutto. Con ben poco successo. “Le norme italiane che escludono la detenzione dei minori non accompagnati, menzionate dal Ministero” replicò Amnesty “non hanno purtroppo evitato che dal gennaio 2002 all’agosto 2005 almeno 890 minori, accompagnati e non, siano stati effettivamente trattenuti, per tempi anche lunghi, nei diversi centri di detenzione esistenti in Italia”. Minori, questa ancora l’accusa, obbligati a patire “intense temperature d’estate, freddo e umidità d’inverno”.
Condizioni umilianti e di degrado umano tali da spingere le autorità italiane a impedire l’ingresso degli operatori nelle strutture: “Il governo deve rimediare all’invisibilità, consentendo visite indipendenti nei centri di detenzione”, così ai tempi Paolo Pobbiati. E Giusy D’Alconzo, dal canto suo: “Ci hanno negato l’accesso ai centri di permanenza temporanea e non hanno mai risposto alle nostre richieste, inviate alle prefetture competenti, di conoscere il numero esatto dei minori presenti nei centri. La risposta dei livelli centrali, del Dipartimento competente del ministero dell’Interno, è stata che la ricerca insisteva su una cosa inesistente, perché nei Cpt la legge vieta la presenza di minori. Ma noi, grazie alla denuncia delle ong impegnate nell’ambito dell’immigrazione e di una serie di avvocati con clienti stranieri,sapevamo che non era così”.
Tante storie di “testimoni scomodi”, come quella di Eron, fuggito dal suo paese per sottrarsi alle persecuzioni contro la sua etnia e costretto in pieno inverno a dormire dentro una roulotte fredda e gelida con due uomini. O della piccola Alina, nata dopo lo sbarco, con la madre colta dalle doglie in un container di un centro di detenzione e qui riportata cinque giorni dopo il parto in ospedale: “Non potevamo uscire dal centro, ci dicevano che dovevamo stare lì”. Dentro quel container, arroventato dal caldo estivo, senza una culla, né un seggiolone “e così dovevo tenere Lilly sempre in braccio quando era sveglia”.
“I bambini s’incontrano con grida e danze sulla spiaggia di mondi sconfinati, costruiscono castelli di sabbia e giocano con conchiglie vuote, con foglie secche intessono barchette e sorridendo le fanno galleggiare sulla superficie del mare. I bambini giocano sulla spiaggia dei mondi, non sanno nuotare né sanno gettare le reti”, scriveva il poeta, drammaturgo, scrittore e filosofo indiano Rabíndranáth Thákur. Ma non tutti i bambini possono danzare sulla spiaggia, costruire castelli di sabbia, giocare con conchiglie vuote, fare barchette di foglie secche. Sono i bambini che salgono su barche di legno, sognando una nuova vita al di là del mare, dove non sempre gli uomini sono buoni. Come i tanti malvagi che eruttano fiele, ridendo dei morti per acqua.
Stefania Elena Carnemolla - Milano
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