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Il Golfo dei Veleni, rifiuti tossici e omertà. Spezia non vuole sapere
Sondra Coggio, nel suo libro-inchiesta, ripercorre i fatti che portarono alla morte di Natale De Grazia, in un momento in cui, dopo la desecretazione degli atti sull’omicidio del capitano, si attende la riapertura delle indagini
"Ci sono temi sui quali la giustizia è nelle mani di pochi coraggiosi. Natale De Grazia era uno di questi, e ha pagato. Non si può non notare, come premessa, che nessuna indagine delle tante procure che si sono impegnate sui traffici dei rifiuti, sulle navi dei veleni, sugli interramenti e sugli affondamenti di materiale radio attivo, è riuscita ad andare oltre l’archiviazione. Sono stati scritti tanti libri, sui traffici dei rifiuti. E il nome della Spezia compare sempre, ossessivamente. Però, non c’è ancora stata un’inchiesta spezzina, su questo ruolo della città nello scenario nazionale, e questo è un dato di fatto. Come mai?"
La domanda è di Sondra Coggio, giornalista della redazione della Spezia del SecoloXIX e autrice de "Il Golfo dei Veleni", il libro appena uscito per Cut-up edizioni, la casa editrice spezzina che inaugura così la nuova collana "Spezie". "Una collana alla quale teniamo particolarmente - dice Fabio Nardini, direttore di redazione - in quanto come casa editrice abbiamo sempre cercato un rapporto con il territorio".
I fatti nuovi
Desecretata la testimonianza del pentito Schiavone e provato l'avvelenamento del Capitano De Grazia. "Se in passato gli elementi spezzini del sistema potevano apparire più confusi, oggi non è più così. Oggi ci sono fatti nuovi" scrive la Coggio che attraverso gli atti delle commissioni di inchiesta sui grandi traffici e lo smaltimento illecito dei rifiuti illumina i collegamenti tra i "veleni spezzini" e gli scenari nazionali e internazionali da qualche mese all'attenzione dei media e delle istituzioni.
"Perché non c’è solo la sacrosanta disperazione di Caserta, dove peraltro i pentiti dichiarano siano arrivati anche carichi spezzini" - scrive la Coggio. Perchè le "navi a perdere" la Rigel, la Latvia, la Jolly Rosso affondate o spiaggiate in giro per il mediterraneo, partono, tornano o rimandano alla Spezia.
Perché De Grazia viene assassinato proprio mentre viene alla Spezia, dove non arriverà mai e dove avrebbe dovuto acquisire l'ultimo tassello del suo puzzle.
Perché alla Spezia ci sono l'Enea (nucleare) e c'è l'Ing. Noè, l'uomo "base importante per la criminalità organizzata nel porto della Spezia per far passare le navi senza problemi di verifica e di controllo”.
Perché alla Spezia c'è la fonte Pinocchio, che "cita personaggi che (ovviamente a suo avviso) ritiene legati al traffico di rifiuti radioattivi e tossico nocivi nel tratto La Spezia - Napoli - Reggio Calabria e oltremare..".
Perché alla Spezia c'è una Procura che indaga sull'affondamento della Rigel, provando la truffa ai danni delle assicurazioni senza tuttavia preoccuparsi del suo carico: bisogna trovare la nave per provare il traffico dei rifiuti tossici.
Perché alla Spezia c'è la Latvia, la nave già sotto osservazione, lasciata partire dopo che De Grazia è stato assassinato: perché nessuno segue una traccia così importante?
De Grazia muore e il gruppo investigativo si scioglie: pensionamenti, trasferimenti, passaggi ad altro incarico. End of story.
E' la procura di Asti, che apre l'inchiesta di Pitelli. Come mai?
"alla Spezia nessuno indaga neppure su Pitelli, la collina del veleni. E' il procuratore di Asti, Tarditi che toglie il coperchio a "quello che accade alla discarica di Pitelli. Infatti, quando nel 1997 viene convocato dalla commissione parlamentare presieduta da Massimo Scalia, gli viene riconosciuto il peso (e ovviamente il merito) delle molteplici inchieste che gravano sul suo ufficio. Tarditi ricostruisce così con tutti i particolari quello che definisce, “il muro dell’omertà, del silenzio e del condizionamento” che scopre alla Spezia. Il magistrato è lapidario: “Uso queste parole con cognizione di causa”, dice. Precisa di aver utilizzato le intercettazioni, sul caso Pitelli, perché aveva individuato qui alla Spezia una “associazione a delinquere”. E chiede ad un certo punto che l’audizione venga secretata. È evidente che deve approfondire dettagli penalmente rilevanti".
E poi il pentito Schiavone che a proposito della Terra dei fuochi:
"sostiene che arrivasse di tutto. Anche da “Massa Carrara, da Genova, dalla Spezia, da Milano”. Pronuncia poi la famosa funesta previsione che sta sollevando tanta angoscia fra la gente del casertano: “Gli abitanti di Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, dove sono stati interrati i rifiuti, rischiano di morire tutti di cancro entro venti anni”.
Oltre che sulla collina dei veleni, dove sono stati smaltiti i rifiuti? posto che Schiavone ha dichiarato
"Per esempio, se alla Spezia una nave scaricava e c’era una parte in eccedenza, si caricava su un camion, eventualmente dentro un capannone”.
Anche alla Spezia si muore di cancro, e lo sappiamo bene. Ma questo non si può dire senza essere tacciati di allarmismo. E non si può dire che le cause dei tumori siano connesse con l'inquinamento ambientale locale. Le istituzioni locali, l'Asl, l'Arpal, l'Ispra, il Ministero dell'Ambiente e il Ministro hanno rinunciato a dimostrare o smentire questa "credenza locale" nel corso del procedimento che ha portato al rilascio dell'Autorizzazione IA alla centrale Enel della Spezia. Il Comitato SpeziaViaDalCarbone ha denunciato l'ignavia del sindaco, tra gli altri.
Ma alla Spezia sono stati interrati i rifiuti tossici, forse sono stati anche affondati al largo del golfo, sicuramente sono confluiti in mare dalla collina i percolati delle vasche.
E infatti un pezzo di Golfo rientra(va) nell'area SIN, con grande fastidio di chi in questi anni avrebbe voluto avere mano libera per dragare i fondali senza troppe complicazioni. E d'altra parte l'ipotesi nel libro è che anche le banchine portuali costruite negli anni siano state riempite di rifiuti tossici: cosa succederebbe se ne rilevassimo la radioattività? perché non toglierci il fastidio del dubbio? Una volta tanto?
Il video pubblicato nel 2011 dalla Casa della Legalità riprende un servizio andato in onda su RAIDUE. Girato nella discarica di Pitelli negli anni '90 nel periodo successivo all'apertura dell'inchiesta astigiana - per inciso, prima dell'ambientalizzazione della centrale Enel di cui si vedono le quattro ciminiere originarie - fornisce un buon quadro della situazione. Più di tutte le parole scritte.
Pitelli: costruzione, distruzione. negazione
29 giugno 1939 - La legge n. 1497 include l'area compresa tra Pagliari, Ruffino, Pitelli e Muggiano tra i siti di notevole interesse pubblico ed alto valore paesisistico.
1962 - Il piano regolatore generale del comune di La Spezia prevede, per l'area di Pitelli, una porzione indicata come zona speciale panoramica B ed una porzione come zona per l'edilizia economico-popolare. Una parte dell'area è soggetta a servitù militare.
16 Agosto 1976 - Iniziano le richieste dei permessi per farne una discarica di materiali inerti e passo dopo passo, tra deroghe, controlli, diffide, autorizzazioni Pitelli precipita sempre più giù e da "Sito di notevole interesse pubblico e alto valore paesistico" si trasforma in "Sito di Interesse Nazionale" e poi in "Sito di Interesse Regionale".
La cronistoria della costruzione-distruzione-negazione di Pitelli, ben riassunta nel libro, è disponibile in dettaglio qui e fornisce la misura delle responsabilità della politica e della burocrazia spezzina e ligure in questo scempio. Uno scempio che si è concluso con un'assoluzione generale e generalizzata, tra inadeguatezza del diritto penale in materia di disastro ambientale e prescrizioni varie. Una sentenza molto recente (memoria conclusiva del PM) su cui la politica locale avrebbe potuto e dovuto riflettere e interrogarsi. Gran parte della attuale classe dirigente spezzina era già in politica negli anni della costruzione-distruzione di Pitelli ma ha preferito optare per la sua negazione, culminata con il declassamento da SIN a SIR. Nella generale soddisfazione.
Ha ragione la Coggio quando si chiede perché solo i veleni di Spezia non possano mai salire alla ribalta nazionale (anche se c'è stato un tempo in cui alla ribalta nazionale ci erano saliti eccome). E ha scritto un libro che vale la pena leggere. Come dimostrano i casi di Taranto e della Terra dei Fuochi è con la conoscenza dei fatti e la consapevolezza delle loro implicazioni che i cittadini possono sperare di incrinare il sistema omertoso e collusivo che rende possibili storie come quelle citate e come quella della Spezia.
p.s. Oltre alla giusta critica alla politica, alla burocrazia, alla classe imprenditoriale locale, alla magistratura, ai cittadini silenti e rassegnati, sarebbe forse tempo per una disamina del ruolo giocato dall'informazione locale in quegli anni: cosa faceva il cane da guardia della democrazia? Ringhiava o sonnecchiava? Verificava e rilanciava le questioni sollevate da comitati e associazioni ambientaliste - unici soggetti cui il libro riconosce un ruolo attivo nella vicenda - o si limitava a girare le veline istituzionali e eventualmente i comunicati degli ambientalisti?
Non sono in grado di valutare quanta e quale sia la responsabilità dei mezzi di informazione rispetto al velo di silenzio che si è potuto stendere su questi e altri fatti negli anni precedenti ai primi del 2000. Ho tuttavia piena contezza e idee piuttosto precise sul sistema dell'informazione locale negli ultimi dieci anni e sugli esiti nefasti che un diverso atteggiamento avrebbe (forse) potuto contribuire a limitare indagando e raccontando i fatti. Invece tante veline e poche domande. Mai scomode. Persino la reticenza nel girare al potere le domande dei soliti noti: ambientalisti e comitati. Per tutti, il caso delle 5 Terre - puntualmente raccontato solo a partire dalla pubblicazione delle intercettazioni - e quello della centrale Enel, in stand by in attesa dell'auspicabile intervento della Procura della Spezia. Di inquinamento, qualsivoglia, a Spezia si continua a non parlare in qualche modo legittimando la retorica istituzionale della città che rinasce. Da dove? Non c'è rinascita senza conoscenza e consapevolezza.
Solo indagandoli e raccontandoli i fatti si possono trasformare in notizie. L'informazione (mainstream, locale e non) tende invece a entrare in azione quando il fatto è già notizia. Come la politica, anche l'informazione vive del lavoro delle Procure? Ancora veline? Fatti accertati, nessun rischio di inciampo, notizia certa. Ma a quel punto il danno è compiuto, mentre il cane sonnecchiava.
Come mai? Perché non ne parliamo un po'? Collaborando per stanare gli ignavi, i responsabili e gli inconsapevoli? Una "salutare" operazione culturale.
Daniela Patrucco - Spezia
Il blog: (SpeziaPolis)
Link:
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