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La sfida di Claudia, un giorno con 24 litri di acqua
La campagna "Sete di Giustizia" ha lanciato la sfida dell'estate: vivi per 24 ore con 24 litri di acqua in solidarietà con i palestinesi sotto occupazione. Il 27 luglio scorso Claudia ha accettato la sfida. La sua testimonianza e il videoracconto
Venerdì 27 luglio ho preso parte alla campagna “Sete di Giustizia”. Fin dall’inizio, ero consapevole delle difficoltà che avrei dovuto affrontare. Ma alla fine della giornata, con soli 24 litri d’acqua, ho realizzato l’impossibilità di avere una vita normale e dignitosa. Prima di tutto, ho raccolto 24 litri d’acqua, in bottiglie e lattine da irrigazione: avere i 24 litri di fronte a me mi ha fatto capire di che piccola quantità si trattasse. Così, ho deciso di usarla solo per le necessità più importanti: una doccia, il bagno, il pranzo e il lavaggio dei piatti sporchi. Ho evitato di lavare i capelli durante la doccia, così ho potuto risparmiare 4-5 litri di acqua. Per il bagno, quando ho fatto la doccia ho raccolto l’acqua in un secchio di plastica e l’ho utilizzata per tirare lo sciacquone.
Ho deciso di non lavare i vestiti né di pulire la casa: troppa acqua, di sicuro. Ho un coniglio e un piccolo orto con pomodori e zucchine. All’inizio, ho pensato di non considerare nei 24 litri l’acqua per gli animali e i vegetali, ma poi ho fatto il contrario: dell’acqua a mia disposizione ne ho utilizzata una piccola quantità per il coniglio e le verdure, perché la maggior parte delle comunità palestinesi che vivono nell’area C della Cisgiordania con solo 24 litri di acqua a disposizione sono formate da agricoltori e pastori, che in quei 24 litri sono obbligati a rendere conto anche l’acqua agli animali e alla terra, le uniche fonti di reddito che hanno. Naturalmente, il coniglio non beve così tanto. Ma per le verdure ho deciso di utilizzare solo pochi litri di acqua, circa 4, che ovviamente non bastano affatto per farle crescere. E’ stata sicuramente un’esperienza difficile.
Prima di tutto, perché dovevo decidere quali esigenze soddisfare e quali no. Così, ho pensato a quelle di base. Ma naturalmente ho fatto in questo modo perché il giorno dopo, con una quantità normale di acqua, ho potuto fare quello che ho evitato di fare il giorno prima: lavare i capelli, dare acqua alle verdure, lavare i vestiti. Questa è una possibilità che le comunità palestinesi non hanno. La loro è una condizione quotidiana, non è una sfida come lo è stato per me. C’è un risultato positivo: aver fatto la doccia con le bottiglie d’acqua e aver lavato i denti con un bicchiere mi hanno fatto capire quanta acqua io generalmente sprechi durante il giorno. Prima di questa esperienza ero abbastanza sicura riguardo il mio comportamento: pensavo di essere parsimoniosa, stavo attenta alla chiusura del lavandino quando mi lavavo i denti, per esempio. Ma non basta. Alla fine di quel giorno, ho sentito la frustrazione di dover scegliere: uso l’acqua per la verdura o per pulire la casa? La userò per fare una doccia o per lavare i vestiti? L’acqua non è semplicemente un diritto, è un bisogno fondamentale. E' la vita. E quando le autorità israeliane costringono le comunità palestinesi a scegliere quale tipo di esigenze soddisfare, queste sono costretti a rinunciare alla vita, alla dignità, alla normalità. Uccidere qualcuno, togliere la vita, è considerato ovunque un crimine. Rubare l’acqua significa rubare la vita. E’ un crimine allo stesso modo. Israele è un criminale, sta uccidendo un intero popolo.
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