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Hedia, i dubbi dell'ammiraglio sul naufragio
Sull'inchiesta di Maree, che nei mesi scorsi aveva posto nuovi interrogativi sulla scomparsa del cargo il 14 marzo del 1962, interviene con un articolo il presidente dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia, Paolo Pagnottella
Che fine ha fatto la motonave Hedia? Adesso se lo chiede anche l'Associazione Nazionale Marinai d'Italia (Anmi). Dopo l'inchiesta di Maree, che nei mesi scorsi aveva posto nuovi interrogativi sulla nebulosa scomparsa del cargo avvenuta il 14 marzo del 1962, l'associazione ha deciso di dedicare alla vicenda un articolo pubblicato sull'ultimo numero del giornale “Marinai d’Italia”.
Un pezzo firmato niente di meno che dall'ammiraglio di squadra Paolo Pagnottella, presidente nazionale dell'Anmi, in cui si ripercorre per intero il mistero della motonave liberiana, inghiottita dal Mediterraneo insieme al suo equipaggio, composto da 19 marinai italiani e un gallese.
Almeno ufficialmente la Hedia affondò a causa del mare mosso mentre si trovava in navigazione nel Canale di Sicilia, a poche miglia dall'arcipelago tunisino di La Galite. Eppure i dubbi sulla dinamica di quello che, già cinquantadue anni fa, apparve come un naufragio piuttosto anomalo, vengono riproposti fin da subito anche nell'articolo dell'Ammiraglio: «Che cosa successe a bordo della nave, si chiede l'esperto marinaio, per non lasciare il tempo di lanciare un “mayday”, quale evento così improvviso - e non certo una tempesta annunciata e affrontata coscientemente - colse di sorpresa l'equipaggio?».
Pagnottella fa notare come all'epoca sia stata sottovalutata la scarsità dei relitti ripescati in mare, insufficienti a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il mercantile fosse davvero colato a picco. «E' lecito pensare - scrive il presidente dell'Anmi - che il comandante si sia trovato, a causa della tempesta, fuori rotta e, forse, in area sottoposta a vigilanza anti-contrabbando da parte francese?». Com'è noto infatti, fu proprio in questo modo che lo spettro della guerra franco-algerina si inserì per la prima volta nell'enigma della motonave Hedia. Uno spettro tornato a tormentare i congiunti dei marinai italiani anche sei mesi dopo il presunto affondamento, quando Il Gazzettino di Venezia pubblicò una fotografia scattata all'interno del consolato francese di Algeri che ritraeva un gruppo di prigionieri in fila. Proprio tra questi, alcuni familiari dei dispersi si dissero certi di riconoscere i propri cari. Ma erano davvero i marinai della Hedia gli uomini immortalati in quello scatto? Oppure, come sostennero i giornali, si trattò di una forma di psicosi collettiva?
«E' possibile che alcuni membri dell'equipaggio, scampati al naufragio, abbiano preso fortunosamente terra finendo poi nelle mani (e nelle galere) degli insorti algerini» - azzarda Pagnottella. Dunque quali pericolose avventure avrebbero trasformato i marinai in dei detenuti? E chi li avrebbe tenuti prigionieri sul finire di quella “calda” estate algerina? Gli insorti, cioè gli indipendentisti del Front de Libération Nationale, oppure l'esercito coloniale francese, che in quegli ultimi cruenti giorni di guerra era ancora impegnato a contrastare i rifornimenti di materiale “strategico” ai ribelli? E soprattutto, con quale accusa sarebbero stati imprigionati?
Per rispondere a questa domanda l'organo ufficiale dell'Anmi riprende in buona parte l'inchiesta di chi scrive, pubblicata su questo giornale il 1 novembre dello scorso anno (Hedia, una lettera del 63 e quell'uomo della Dc), nella quale per la prima volta è stata resa pubblica una lettera firmata dal padre di uno dei marinai scomparsi sulla Hedia.
La missiva, datata 14 ottobre 1963, afferma che durante la campagna elettorale del 1963 la signora Graffeo (madre del marinaio di coperta Filippo Graffeo nda) entrò in contatto con un esponente della Democrazia Cristiana, il quale gli confidò di conoscere il destino della nave. La stessa fonte avrebbe anche sostenuto che il mercantile effettuava del contrabbando di armi, un particolare che sarebbe stato appreso attraverso una telefonata tra il nostro Ministro Plenipotenziario e una autorità estera. In quella conversazione l'interlocutore (francese?) disse che gli uomini dell'equipaggio erano tenuti prigionieri e che non sarebbero stati rilasciati fino a quando non avessero dichiarato per conto di quale governo avevano fatto il trasporto. Ma cosa c'è di vero in questo racconto? Impossibile saperlo dal momento che l'autore della lettera risulta essere ormai deceduto. Secondo quanto scritto nell'articolo di “Marinai d’Italia” però, anche l'Anmi pare propensa a considerare l'ipotesi che in quel disgraziato viaggio lungo le coste del Nord Africa ci fosse un indecifrabile margine ignoto.
«Oggi sono passati più di cinquant'anni da quei giorni d'attesa, sofferenza, misteri, false piste e silenzi - conclude l'ammiraglio Pagnottella - l'Italia è in ottime relazioni diplomatiche con la Tunisia e l'Algeria, la Francia è con noi nell'Unione Europea, i politici e le politiche di quel tempo sono superati e appartengono alla storia. Perché non cercare di sapere la verità, qualunque essa sia?». E' proprio ciò che ci siamo detti anche noi di Maree nel momento in cui abbiamo deciso di rimettere le mani sulle carte impolverate di questo “cold case”, nonostante da più parti, anche quelle da cui non ce lo si aspetterebbe, siano ancora percettibili alcune inspiegabili resistenze... Per questo accogliamo con vera gioia l'interessamento dell'Anmi alla storia della Hedia, unendoci con convinzione all'invito finale dell'ammiraglio Pagnottella: «Chi sa, può aiutarci a fare luce e dare qualche contributo serio, atto a svelare il mistero dei nostri marinai?»
Noi, nel nostro piccolo, ci permettiamo di dare qualche suggerimento a chiunque sia interessato a portare avanti questa indagine, specie se veste una divisa.
- Ad esempio perché, chi ne ha l'autorità, non ordina una ricerca accurata per capire se esistono ancora dei documenti riguardanti la Hedia nell'Ufficio storico del Comando Generale delle Capitanerie di Porto (ex ministero Marina Mercantile) di via Dell'Arte a Roma? Chi ci è stato racconta di una situazione a dir poco confusionaria: archivi abbandonati ovunque, locali pieni di faldoni per cui non esiste una catalogazione. Per trovare qualcosa, sempre che ci sia, ci vuole tempo, impregno e volontà.
- E ancora, una fonte ben informata ha cercato per noi tra le carte riservate e non risulta esserci nessun segreto di Stato sul caso Hedia. Ma tra i dossier raccolti da quello che fu il SIOS della Marina Militare (Servizio Informazioni Operative e Situazione), il servizio segreto che dal 1949 al 1998 ebbe il compito di sorvegliare l'area del Mediterraneo, risulta niente?
- Sarebbe poi utile reperire i documenti di carico della nave che però, secondo le informazioni in nostro possesso, sono andati persi, guarda caso, durante l'allagamento degli uffici della Capitaneria di porto di Ravenna (da dove iniziò l'ultima crociera di carico della Hedia) nel 1966. E' davvero così?
- Servirebbe anche un'indagine approfondita sugli armatori del mercantile, soprattutto su quelli cosiddetti “ombra”. Per caso, questi stessi soggetti sono stati protagonisti di altri naufragi simili?
- Pista estera: visto che siamo in buoni rapporti diplomatici con tutti, nell'eventualità che i nostri connazionali siano davvero stati fatti prigionieri in terra algerina, la Francia sa che fine abbiano fatto? Inoltre, è vero o no che nel porto tunisino di Sfax fu ormeggiata, addirittura fino agli anni '80, una vecchia nave in disarmo che un pescatore italiano sostenne essere molto simile a quella che sarebbe affondata nel 1962 a La Galite?
Queste sono, a nostro avviso, alcune delle domande da cui ripartire per evitare che quello della Hedia rimanga per sempre un enigma dimenticato.
Massimiliano Ferraro - Imperia
Link:
- Lorna I e Hedia: due navi, un conto a Lugano
- Hedia, una lettera del '63 e quell'uomo della Dc
- La verità sui fantasmi della Hedia. Intervista esclusiva per Maree
- Gli spettri della Hedia "sottochiave" a Parigi
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