Data: 24/08/2012
 

Rigel, venticinque anni di veleni in fondo al mare

Il caso del mercantile battente bandiera maltese, affondato il 21 settembre 1987 a largo di Capo Spartivento con un carico di 3000 tonnellate. Il mancato Sos, la scomparsa dell'equipaggio e la morte del capitano De Grazia

Rigel, venticinque anni di veleni in fondo al mare

Il mare è sempre protagonista di storie misteriose. Nelle sue profondità si celano segreti che nessuna luce anima o smuove. Abissi imperscrutabili come quelli dello Ionio calabrese dove una nave è scomparsa in una bella mattina di sole di venticinque anni fa. Quello della motonave Rigel, il mercantile battente bandiera maltese svanito nel nulla nel 1987 a largo di Capo Spartivento, è uno dei misteri meno conosciuti e più inquietanti della storia italiana. Un enigma in cui tutte le ipotesi restano plausibili sul filo della logica, tenuto vivo ancora oggi dalla contraddittorietà dei suoi elementi. Eppure la Rigel è solo una delle oltre ottanta imbarcazioni che secondo Legambiente sarebbero affondate dolosamente dal 1979 al 2001 per smaltire illecitamente in mare rifiuti pericolosi. Un fenomeno ancora in buona parte da decifrare e su cui, nonostante le richieste delle associazioni ambientaliste, non è ancora stata istituita una apposita commissione parlamentare. Le chiamano navi dei veleni, ma per qualcuno non sono mai esistite.


Il mercantile fantasma - Santa Lucia Street è una stradina stretta a lunga che attraversa il centro di La Valletta, la capitale di Malta. Al civico 146, un palazzo d'epoca costruito in pietra calcarea, viene costituita il 7 agosto 1987 una strana compagnia commerciale, la Mayfair Shipping. Alla società, il cui intero pacchetto azionario è nelle mani dellaOcean Star Limited dell'armatore greco Gheorgios Papanikolau, viene conferita la proprietà di una nave in navigazione verso l’Italia. Si chiama Rigel ed è un mercantile di oltre 3800 tonnellate di stazza. Nel corso dei suoi diciannove anni di servizio l'imbarcazione ha cambiato per quattro volte nome, venendo noleggiata e sottonoleggiata a vari broker con passaggi di proprietà e di possesso che l'hanno trasformata in a tutti gli effetti in un oggetto misterioso.

Il 2 settembre 1987 la Rigel giunge a Marina di Carrara proveniente da La Spezia. A causa di una presunta avaria ai motori sosta in rada per una settimana, poi entra nel porto toscano, ufficialmente per caricare una sessantina di container contenenti lamiere e vecchi macchinari. I controlli non rilevano nessuna anomalia e il 9 settembre 1987 la Rigel salpa verso Limassol, il porto cipriota in cui è diretta. Nonostante la destinazioni disti soltanto una settimana di navigazione, la nave comincia a vagare inspiegabilmente nel Mediterraneo per dodici giorni. Infine, dopo aver coperto la distanza di appena 800 miglia, affonda a circa 20 miglia a sud est di Capo Spartivento, nel comune reggino di Brancaleone.
Il mancato invio di un segnale di SOS e le condizioni del mare eccellenti fanno sì che per quasi mezza giornata nessuno si accorga dell'avvenuto naufragio, finché nel pomeriggio del 21 settembre 1987 gli operatori del Centro radio di Messina captano un messaggio di una nave merci jugoslava, la Krpan: «Abbiamo recuperato diciotto naufraghi a bordo di due zattere di salvataggio, venti miglia a Est di Capo Spartivento …».

Lo sbarco dei marinai della Rigel nello scalo tunisino di Gabes e la loro successiva scomparsa sono l’ultimo atto di quello che si presenta fin da subito come uno strano naufragio, avvenuto senza testimoni in uno dei tratti di mare più trafficati e controllati del Mediterraneo. Una dinamica che insospettisce la compagnia assicuratrice la quale apre un contenzioso con l’armatore che finisce sul tavolo della magistratura de La Spezia. I Lloyd’s sospettano una truffa e i giudici autorizzano delle intercettazioni telefoniche a soggetti coinvolti a vario titolo con l'organizzazione del viaggio. Così i dubbi che l'affondamento del cargo maltese sia stato provocato ad arte trovano le prima conferme. Scattano le denunce per una trentina di persone tra cui l'armatore greco, i caricatori, i broker e uno studio legale genovese. Anche una funzionaria doganale del porto di Marina di Carrara viene rinviata a giudizio per non aver provveduto ad ispezionare la nave.
Il 20 maggio 1995 il tribunale di La Spezia condanna la maggior parte degli imputati per naufragio doloso in base all'articolo 428 del codice penale, assolvendo però l'armatore Papanikolau in quanto “l’azionista di una società di capitale (la Mayfair Shipping nda) non è titolare di un diritto di proprietà sui beni sociali, ma soltanto di un credito nei confronti della società”. La sentenza viene in seguito confermata in appello dal tribunale di Genova il 10 novembre 1999 e resa definitiva in Cassazione il 10 maggio 2001.

Per la giustizia italiana il caso è chiuso nonostante nel corso del processo sia emerso un altro particolare tutt’altro che irrilevante, e cioè la presenza a bordo di un carico dissimile da quello dichiarato. Secondo le testimonianze rese da due portuali, infatti, la maggior parte dei container caricati sulla nave sarebbero stati riempiti solo di blocchi di cemento e polvere di marmo, materiali solitamente utilizzati dai trafficanti di veleni per schermare le radiazioni. Un’ipotesi sostenuta successivamente anche da una fonte anonima: la Rigel avrebbe trasportato del materiale altamente radioattivo, uranio o torio, fatto scomparire sotto il mare da faccendieri senza scrupoli con la complicità della criminalità organizzata.
 
Navi e rifiuti tossici - Due inchieste apparentemente distanti, quella della Rigel, creduta solo un caso maldestro di truffa assicurativa, e quella di un presunto traffico di rifiuti tossici dal Nord Europa verso alcune zone dell'Aspromonte. Due vicende che si avvicinano fino a collegarsi. Nel 1994, in seguito di una segnalazione di Legambiente, il sostituto procuratore di Reggio Calabria, Francesco Neri, apre un’inchiesta su dei quantitativi imprecisati di rifiuti interrati in cave naturali. Traffici che in alcuni casi sarebbero avvenuti via mare. E' per questo che del pool di investigatori entra a far parte come esperto di navigazione il capitano di corvetta Natale De Grazia, uomo di spiccata onestà e senso dello stato che diventerà suo malgrado il simbolo della coraggiosa lotta contro le ecomafie.

De Grazia arriva ben presto a credere verosimile l’esistenza di una nuova e inquietante pratica criminale: affondare rifiuti pericolosi sotto i fondali marini colandoli a picco su vecchie navi. Un’indagine che procedendo a ritmo serrato coinvolge Giorgio Comerio, ingegnere di Busto Arsizio. Un personaggio controverso, interessato alle tecniche alternative di smaltimento dei rifiuti radioattivi, di cui il Servizio Segreto Militare (SISMI) aveva segnalato la presunta intenzione di «armare una nave da destinare al trasporto e scarico in mare di scorie». Il progetto di Comerio, che avrebbe previsto l'inabissamento di rifiuti tossici e nucleari tramite degli speciali siluri detti penetratori, viene proposto addirittura su internet tramite il sito di una sua società, la Oceanic Disposal Management Inc. Questo metodo, basato su uno studio finanziato dalla CEE e poi abbandonato, viene pubblicizzato assieme all’elenco degli oltre cento siti in cui sarebbe stato possibile procedere allo smaltimento in mare.

«Una cosa incredibile, questa dei missili» ha dichiarato nel 2004 l'allora presidente della Commissione sul ciclo dei rifiuti, Paolo Russo, «mentre nel mondo si discute, anche appassionatamente, sulle modalità di stoccaggio e smaltimento delle scorie nucleari, scopriamo un progetto in apparenza fantascientifico e invece più vicino alla realtà di quanto si pensi...». Secondo l'ipotesi fatta all'epoca della procura l’ingegner Comerio riesce, grazie a coperture ad altissimo livello, a stringere affari con signori della guerra e trafficanti, tutti interessati ad entrare nel grande e facile business pensato per disfarsi dei rifiuti più nocivi e indesiderati.

Nel giugno del 1995 il procuratore Neri autorizza la perquisizione dell’abitazione di Comerio sequestrando progetti e fotografie e filmati del lancio degli speciali missili. Ma anche c’è dell’altro. Un appunto su un’agenda alla data del 21 settembre 1987 con la scritta in inglese “lost the ship”, la nave è persa. Per Natale De Grazia si tratta di un indizio non trascurabile, è proprio lui a verificare nel registro navale dei Lloyd’s che l’unica nave al mondo affondata quel giorno è un cargo maltese: la Rigel.

«Altra inesattezza colossale» sarà invece il commento rilasciato nel 2011 da Giorgio Comerio al sito Strill.it, «“lost the ship”, ovvero “ho perso la nave”, si riferiva al fatto che avevo perso il traghetto che dall’Inghilterra mi doveva portare in Francia! E l’annotazione su una pagina, in questo caso 21 settembre, può essere un semplice appunto e non certo un frammento di diario. Sulla stampa è stato scritto “nave affondata” ma affondare in inglese é “sink.” Ma poi, secondo lei, uno che affonda delle navi, lo scrive sull’agenda tanto per ricordarselo?».
Dopo quattro anni di indagini sulle società che in qualsiasi modo potevano essere ricondotte a Comerio, la Magistratura decide l’archiviazione della sua posizione nelle indagini inerenti attività illegali di smaltimento di rifiuti. Il provvedimento viene motivato dal fatto che non vi sarebbe mai stata alcuna concreta attività di smaltimento, ma che si sarebbe trattato piuttosto di studi di verifica sulla possibilità scientifica e legale di fruizione di una tecnologia sviluppata dalla Comunità Europea.
 
Il ruolo dell’Entità e la morte di De Grazia - Dopo aver acquisito gli atti delle indagini in corso a La Spezia, De Grazia tenta di ricostruire scrupolosamente il viaggio della Rigel basandosi sulla rotta, sul percorso e sulla distanza-tempo. Accertata la discutibile dinamica dell'affondamento, il capitano sposta la sua attenzione sul carico anomalo trasportato dal mercantile, anche in seguito alla testimonianza fatta il 13 maggio 1995 alla Forestale di Brescia da un uomo rimasto senza nome. Pinocchio, questo il suo nome in codice, rivela alcuni dettagli inquietanti sullo smaltimento dei rifiuti pericolosi collegati alla città di La Spezia (porto di partenza originario della Rigel) soffermandosi su un mercantile carico di sostanze nucleari che prima di affondare a Capo Spartivento «ha toccato i porti di Albania e nord Africa per poi entrare definitivamente nel mar Ionio». Una nave radioattiva in cui sembra scorgersi il profilo della Rigel.

E' in quel momento esatto, l’indagine sembra essere ad un punto di svolta con l’avvicinarsi della verità che Natale De Grazia e il procuratore Neri si accorgono di non essere soli. Proprio come è successo tante volte nelle peggiori pagine della storia d’Italia, non è Stato ad accompagnare il cammino degli investigatori, ma una presenza oscura,l’Entità: termine usato per definire l’intreccio misterioso di mafia, affari e politica. «Forze occulte di non facile identificazione» si legge in un appunto del 1996 scritto del capo del nucleo operativo provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, Antonino Greco, che si mettono in moto per «controllare gli investigatori nel corso della loro attività».
A Reggio Calabria arrivano i servizi segreti e l’entusiasmo con cui soprattutto De Grazia aveva iniziato ad occuparsi dell’indagine lascia spazio ad una profonda inquietudine. Il Capitano ne è certo, tra quegli uomini ci sono elementi deviati che fanno di tutto per ostacolare il lavoro della procura. Sulla stampa locale cominciano a uscire notizie riservate ed il timore di una talpa all’interno del pool si fa crescente.

Chi sono i nemici del procuratore Neri e di De Grazia? Chi ha affondato la Rigel e perché? Sono domande a cui il 10 luglio 1995 risponde indirettamente l'enigmatico ex agente del SISDE Aldo Anghessa, in quel periodo agli arresti domiciliari per traffico di armi, materiale radioattivo e titoli di Stato falsi. «A partire dal 1987» sostiene lo 007 «è attiva in Italia una lobby affaristico-criminale che gestisce il traffico di rifiuti tossico-nocivi e radioattivi. Detti traffici sono sicuramente gestiti a livello di vertice da soggetti iscritti a logge massoniche italiane ed estere».
Il 13 dicembre 1995 il capitano Natale De Grazia sta recandosi a consultare nuovamente i registri navali. Prima di partire in auto da Reggio Calabria con due colleghi comunica al procuratore di Matera, Nicola Maria Pace, l'intenzione di accompagnarlo a bordo di una barca nel punto esatto in cui era convinto fosse affondata la Rigel. La verità sul naufragio di Capo Spartivento e sul destino di decine di navi fatte affondare nei mari italiani forse e lì a un passo. Vicina, forse troppo vicina.

Quella stessa sera muore sul sedile posteriore della Fiat Tipo che stava portandolo a La Spezia a causa di un malore improvviso, avvenuto dopo aver tranquillamente cenato in un locale di Nocera Inferiore. Sul cadavere verranno effettuate due autopsie (svolte dalla medesima persona) che confermeranno la morte per cause naturali ma che non convinceranno mai fino in fondo la famiglia del capitano. Ma se di morte naturale si è trattato è quanto mai singolare che il Presidente della Repubblica Ciampi abbia voluto conferire a De Grazia la medaglia d’oro alla memoria con la seguente motivazione: “Nonostante pressioni ed atteggiamenti ostili svolgeva delle complesse investigazioni che, nel tempo, hanno avuto rilevanza e dimensione nazionale nel settore dei traffici clandestini ed illeciti operati da navi mercantili”.
Traffici illeciti che, stando un documento datato 11 dicembre 1995, attualmente agli atti della Commissione sul ciclo dei rifiuti, appena due giorni prima della morte di De Grazia venivano autorizzati dal governo italiano erogando fondi ai servizi segreti per la gestione di scorie nucleari e armi.
 
La Rigel affondata dalla 'ndrangheta? - Con la morte di De Grazia anche la speranza di risolvere il caso Rigel finisce dopo un ultimo tentativo del procuratore Neri di trovare i fondi necessari per andare a caccia del relitto. «Quelle risorse furono negate senza una spiegazione» ha sostenuto il magistrato calabrese sulle colonne de Il Sole 24 Ore, «o meglio le motivazioni sono ancora coperte da segreto». Il pool si scioglie e l’indagine passa al procuratore Alberto Cisterna della Direzione antimafia di Reggio Calabria e finalmente nel 1997 i fondi arrivano. Sembra la svolta decisiva ma l’illusione di trovare la nave finisce prima ancora di cominciare. L’azienda contattata per setacciare i fondali dello Ionio fa notale che le coordinate comunicate da comandante della Rigel sono palesemente false, ergo il ritrovamento risulta essere impossibile.
Nel 2000 l'inchiesta Rigel viene archiviata, anche se è lo stesso pm Cisterna ad annotare che la verosimiglianza dell’ipotesi di affondamento legato allo smaltimento di rifiuti nocivi di origine radioattiva non è in discussione. Mancherebbero però «riscontri idonei che abilitino un’ulteriore attività investigativa» nonostante rimanga «sospetta gran parte del carico». Passano altri otto anni e nel 2005 il pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti invia a Vincenzo Macrì della Direzione Nazionale Antimafia un memoriale in cui vengono messi in risalto i legami della criminalità organizzata calabrese con faccendieri e imprenditori collegati al fenomeno delle navi dei veleni. Un business facile, praticamente immune da rischi ed enormemente redditizio per le cosche.

Tra i soggetti che avrebbero intrattenuto rapporti con la 'ndrangheta c'era, a detta del pentito, anche Giorgio Comerio, il quale negli anni '80 si sarebbe messo in contatto con Natale Iamonte, boss di Melito Porto Salvo. L'ingegnere avrebbe chiesto un aiuto alla manovalanza siciliana per affondare una nave a largo di Capo Spartivento. Ecco quindi rispuntare nuovamente il nome della Rigel.
Iamonte avrebbe dunque provveduto a trovare l'equipaggio del mercantile, compreso il comandante e il suo secondo. Gente fidata, che avrebbe atteso a 25 miglia fuori dalle acque territoriali l'arrivo di un motoscafo partito dalla costa con a bordo le cariche di dinamite per far affondare la nave. Il motoscafo avrebbe poi riportato a terra il capitano e il suo vice, mentre l'equipaggio sarebbe stato prelevato dalla Krpan, già in attesa nella zona.

Questa versione dei fatti, che per altro non ha mai trovato conferma, viene smentita da Comerio in persona in un memoriale inviato nel 2009 Repubblica.it nel quale afferma di non essere «mai stato in contatto con elementi criminali» e di «aver sempre lavorato a fianco della legge e della difesa dell'ambiente, e mai contro». Giorgio Comerio vive attualmente in Tunisia e nonostante la sua testimonianza sulle questioni collegate al traffico di rifiuti radioattivi sia ritenuta fondamentale, non è ancora stato ascoltato da nessuna commissione parlamentare. Le indagini della magistratura sul suo ruolo nella vicenda delle navi dei veleni si sono concluse con due non luogo a procedere.
 
Affondata o riciclata? - Il 4 settembre del 2009, La Gazzetta del Sud pubblica le dichiarazioni del giudice Alberto Cisterna, veterano dell'inchiesta Rigel. «Oggi probabilmente potrebbero essere compiute ricerche con metodi ancora più moderni ed efficaci», dice Cisterna, «si potrebbero infatti utilizzare sommergibili in grado di scendere a 1400 metri di profondità, radar e sonar di ultima generazione. Trovata la Rigel e stabilito con certezza cosa trasportava, avremo in questa indagine un punto fermo. Credo, perciò, che occorra fare di tutto per rimettere in moto la macchina delle ricerche». Il magistrato non sa ancora che di lì a un mese Legambiente annuncerà la presenza sui fondali dello Ionio del relitto di una nave da carico adagiata sul fondale al largo di Capo Spartivento. La scoperta era stata fatta ben dieci anni prima da una azienda privata durante la prova di nuove tecnologie di rilevazione sottomarina. Un test che aveva prodotto un rilievo realizzato con un sonar multibeam raffigurante certamente un'imbarcazione moderna. Dovrebbe essere l'impulso auspicato da Cisterna per riaprire le indagini e invece per quasi due anni non succede nulla. Poi, il 7 agosto 2011, il quotidiano ambientalista Terra pubblica un articolo che potrebbe servire a reinterpretare interamente il giallo della Rigel.

Tutto riparte dal settembre del 1987. Il giornale cita documenti inediti che confermerebbero la versione di un investigatore (probabilmente pagato della compagnia assicuratrice) secondo cui la nave non sarebbe mai stata affondata a Capo Spartivento. Sarebbe stata invece “riciclata” in Libano. Dopo aver scaricato il misterioso carico, vero scopo di quel viaggio, qualcuno avrebbe provveduto a cambiare nome e colore al mercantile prima di rimetterlo in circolazione nel Mediterraneo così da ottenere un triplice vantaggio: incassare il risarcimento dall'assicurazione per un naufragio mai avvenuto, riavere un cargo “pulito” e soprattutto incassare l'enorme somma pagata da chissà chi per smaltire o vendere chissà cosa. L'investigatore parla quindi di un'ennesima fonte anonima a cui vennero pagati ventimila dollari per ricevere il nome di una località, Ras Saalata, zona del Libano devastato dalla guerra civile, dove la Rigel sarebbe stata attraccata in un molo clandestino. Si sa che in quelle prime frenetiche ore di ricerca qualcuno tentò di raggiungere Beirut, ma fu tutto inutile perché anche in questo caso la nave non venne comunque mai ritrovata. Così sulla speranza di arrivare alla verità è di nuovo calata la nera cappa del silenzio.

 

 

Massimiliano Ferraro - Torino

Il link: il blog di Ferraro

 

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