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Come ti riciclo la rete abbandonata in fondo al mare
Ogni giorno dalla Slovenia 7000 bobine di nylon riciclato vengono spedite nelle fabbriche tessili di mezzo mondo. Quel filo sottile che lega un'associazione ambientalista internazionale ad un'azienda italiana. Reportage
Reti da pesca colorate e stipate in un capannone enorme: le ho viste a Ajdovscina in Slovenia. Dove Healthy Seas, organizzazione ambientalista, fa arrivare i carichi di reti recuperate tra Olanda, Belgio, Norvegia (il 60%) e dalle stesse acque slovene.
In media ogni mese ne arrivano 320 tonnellate.
Ed accanto ai "cumuli" di reti sono visibili anche le balle ordinate di fluff, praticamente tappeti sminuzzati e pressati che arrivano dagli Stati Uniti, altra plastica riciclabile. Un tesoro per Aquafil, gruppo made in Italy attivo nella filiera produttiva del nylon 6 (o poliamide 6), che ha dato il via ad un nuovo modo di produrre le fibre sintetiche con oltre 2.000 collaboratori e 12 stabilimenti, in tre continenti e sette Paesi: Italia, Slovenia, Croazia, USA, Thailandia e Cina.
Questa enorme quantità di rifiuti è solo una piccolissima parte di quelli che gettiamo ogni anno in tutto il Pianeta. FAO Unep calcola, che solo per le reti da pesca, ne siano abbandonate nei mari 640 mila tonnellate ogni anno pari al 10% dei rifiuti solidi, e francamente non riesco a visualizzare una simile quantità. Ma i dati generali relativi all’inquinamento dei mari sono ancora più sconfortanti e ci raccontano di una presenza di 5 miliardi di rifiuti composto per lo più da plastiche; anche nelle acque europee: 101 mila per ogni kmq. Il che porta a riflettere sulle dimensioni della pesca intensiva e sulle ricadute ambientali che ha.
Tragedia che esplode con tutta la sua violenza visiva nelle aree del capannone di stoccaggio di Ajdovscina, mentre con altri colleghi giornalisti e blogger le stiamo visitando: le reti da pesca sono ovunque e il loro odore acre di salsedine avvolge lo spazio. Siamo in 106 a visitare questo magazzino e quindi a Lubiana nella fabbrica dell’Aquafil, per conoscere il processo di trasformazione di queste "scorie della pesca" in nylon 6: potere della chimica, dei solventi, degli acidi e delle proprietà dell’osmosi.
Con noi anche i protagonisti di questa storia: da Healthy Seas a Aquafil a Ecnc Group e a Star Sock fino a Fonda e Nofir e sopratutto ci sono i sub che materialmente vanno a recuperare in mare le reti, come Maurizio. E’ un omone grosso e alto che assieme alla sua squadra di otto persone ha dedicato i suoi giorni di ferie - nel pieno dell’estate - al recupero delle reti abbandonate, un lavoro su base volontaria che prevede soltanto il rimborso spese.
Mica facile prendere le reti abbandonate in mare! Mica le trovi belle impacchettate sul fondo… spesso sono da liberare se sono impigliate in qualche relitto e le devi agganciare ai palloni sonda per tirarle su. Maurizio me ne parla con passione mentre mi spiega che sul fondo del mare oramai ci si trova di tutto e che spesso i pesci arrivano prima dei sub a prendersi le reti e le eleggono a dimora. In quel caso, mica puoi sfrattare i pesci?
Ogni rete misura 200 metri ed è fatta per lo più di nylon 6 un polimero riciclabile, alla Aquafil hanno iniziato 4 anni fa a riusare quest’immenso tesoro sepolto sotto i mari del Pianeta con il sistema Econyl. Ci hanno messo cuore e portafoglio: 20 milioni di euro di cui 3,5 messi dal governo Sloveno e il know how delle università di Trento, Lubiana e Maribor. Poi Healthy Seas ha agganciato anche altri due colossi Norsk Fiskeriretur AS (Nofir), che recupera le reti nei mari norvegesi (da li arriva il 50% del raccolto) e la Fonda Fish Farm che invece le usa per le sue aree destinate all’acquacoltura nel Golfo di Piran. La pesca non produce solo reti adatte al riciclo, ma tanto altro materiale che può essere recuperato e le aziende più veloci nel mercato hanno già iniziato a muoversi verso queste direzione.
Il magazzino è un brulicare di attività: gli operai prendono le reti ad una ad una e le smontano, tolgono per parti che non riciclano (ma che potrebbero essere riutilizzate, il che è diventato il prossimo obiettivo) le accumulano, facendo attenzione a recuperare anche il più piccolo filo di nylon. Ma per arrivare a ottenere il filo sottile, bianco e resistente si passa per un processo chimico, non impattante, nella fabbrica di Lubiana che ha 30 anni di storia alle spalle e che dal 1995 è dell’italiana Aquafil.
Le reti vengono depolimerizzate attraverso un processo di elettrolisi con acqua che dura tra le 12 e le 15 ore. Dopo il trattamento con acidi si arriva a ottenere il caprolattame che viene stoccato nei silos, circa 12 mila tonnellate annue ossia l’80% di quelle 320 mila tonnellate di reti recuperate ogni anno. Segue il processo di filatura e qui l’area di lavoro ci racconta di bobine su cui il filo avvolto passa da una zona all’altra (per controllo di qualità o riparazioni) per venire poi imballato: ogni giorno 7000 delle 14 mila bobine stipate in magazzino sono spedite alle fabbriche tessili nel mondo. Il filo prodotto viene usato per tessuti dalle varie caratteristiche: costumi da bagno, moquette, tappeti, tute da sci. Indubbiamente fa strano immaginare di avere ai piedi una rete da pesca, ma d’altronde nulla si perde e tutto si trasforma, se solo lo vogliamo.
Marina Perotta - Napoli
- Il video: Healthy Seas - a journey from waste to wear
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