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Sulla rotta della Jolly Nero, un reportage
A Genova, il 28 maggio, c’era stata pioggia fino al pomeriggio, poi la tregua e un cambio di programma, raggiungere lo Yacht Club Italiano al Molo Giano per osservare da lontano la banchina dove c’era la Torre Piloti, quella urtata la notte del 7 maggio dalla Jolly Nero, la nave portacontenitori dell’armatore Messina.
La strada che porta a Molo Giano passa sotto la sopraelevata, un percorso al buio, all’odore di pesce del vicino mercato, di vecchi edifici e cancelli che s’aprono sulle zone del porto. L’edificio dello Yacht Club Italiano è il primo sprazzo di luce dopo tanta oscurità, ma gli alberi delle imbarcazioni e la cancellata offuscano la vista per chi voglia guardare più in là. E così abbiamo seguito due saldatori dei mari orientali sbucati da una viuzza. Andranno da qualche parte, abbiamo pensato, fino a quando non sono entrati, e noi con loro, nella zona delle Riparazioni Navali. “È possibile guardare il mare da qui?”. “Sì, certo”. Ma era una zona off limits, non certo per loro.
Salutati i due, siamo passati davanti a una guardiola, dove anche l’unica guardia era distratta, quindi una sorpresa, una nave: la Jolly Nero. Non sapevamo si trovasse a Molo Giano. L’abbiamo fotografata, indisturbati, prima attraverso una protezione metallica, quindi entrando in banchina, dove su un’utilitaria della Polizia di Stato un poliziotto riposava su un sedile abbassato, fino a quando dalla poppa aperta della Jolly Nero non ha fatto capolino qualcuno con giubbotto arancione catarifrangente.
Ma abbiamo continuato a fotografare, nascondendo la macchina fotografica sotto il nostro soprabito scuro da tempesta di mare: davanti a noi, la Jolly Nero in tutto il suo trionfo di ruggine e con i container ancora sul ponte. Come quella notte del 7 maggio, quando doveva andare a Napoli e da lì a Port Said e al di là del mare e invece è rimasta a Genova.
Davanti a noi, la Jolly Nero, più in là, riflessa nello specchio d’acqua di nuvoloni grigi, la banchina dove c’era la Torre Piloti. Oggi, accanto ai paletti di cemento conficcati in acqua della Torre crollata, c’è solo la vecchia Torre, che per un po’ vigilerà sul porto. Il passato che ritorna, con la Torre che non c’è più che s’aggira per i moli come un fantasma.
Davanti a noi, la Jolly Nero, più in là, verso il mare di levante, una rete metallica a brandelli e un frammento di banchina accanto alla murata di sinistra della nave. E una cassetta di legno dove sedersi, allungare le gambe verso l’acqua torbida del porto e fotografare la nave.
“Che ci fa lei qui? Questa è una zona vietata, non si può entrare”, così, al ritorno, l’uomo della guardiola sotto il cui sguardo eravamo passati poco prima. Abbiamo salutato con un sorriso e siamo andati via, entrando in un bar del porto, dove i marittimi, anche di pomeriggio, bevono birra per rinfrescarsi.
Tutti qua pensano che la Jolly Nero, all’ormeggio poco più in là, non sia tutta questa gran nave. E quei walkie-talkie con cui a bordo comunicavano fra di loro dal ponte di comando alla sala macchine? Una risata fragorosa del marittimo con barbetta biondo birra “ma figuriamoci, in navi come quella nella sala macchine cellulari e walkie-talkie non prendono”. “Confessate, non era la prima volta che a Genova una nave urtava la Torre Piloti”. Sguardi bassi. “No, non era la prima volta” così il marittimo con barbetta. “Anni fa una nave passeggeri è andata contro la Torre e le s’è rotto un vetro. Lo so perché sono stato io con gli altri a portare sulla Torre il vetro nuovo con la gru. Comandante, ehi, comandante, ti ricordi?”.
“Lei lavora qui?”, mi chiede, gentile, uno di Baghdad. “No, non lavoro qui”. “Il battello per Pegli” mi dice l’uomo “dovevamo prendere il battello e non arriva”. “Arriverà, il mare oggi è bello e non tarderà”. Sono al Porto Antico, accanto alla grande sfera di Renzo Piano. Finalmente c’è il sole e io ho ancora gli stivali da pioggia e il soprabito scuro da tempesta di mare con cui sono andata a Molo Giano, dove ho trovato la Jolly Nero ormeggiata a una banchina in una zona del porto dove non sarei potuta entrare, ma dove sono entrata.
“Il battello, arriva il battello”, è l’uomo di Baghdad. Con lui ci sono altri due uomini e tre donne. Le donne m’abbracciano. Quante feste solo per avergli detto d’aspettare. Sembra una festa sul Tigri, di quando Saddam vi nuotava per la gioia degli iracheni.
Il battello ormeggia alla banchina. Il capitano è un signore genovese con lunghi baffi e maglietta a righe, di quelle che tutti mettono a Camogli quando c’è la Sagra del Pesce, quella con i grandi padelloni in piazza. Lo aiuta un ragazzotto, uno che avvolge le cime come fossero lacci di scarpe. “Capitano, questo battello da dove passa?”. “Dal canale, quello dopo i Magazzini del Cotone”. M’illumino, è il mio battello, quello che farà all’inverso la rotta della Jolly Nero. “Presto, un biglietto”.
Salgo sul battello. “Si parte”, è il capitano. Passo da poppa a prua, da prua a poppa, con al collo la mia macchina fotografica. M’affaccio, guardo la profondità dell’acqua, osservo. “Lei non è una turista, vero?”, mi chiede una signora genovese seduta su un sedile a poppa. “No, non sono una turista”. La donna, una che la sera torna a casa in battello, capisce subito.
Una delle irachene mi s’avvicina. “Ci fa una foto?”. “Perché no? Laggiù c’è una nave con una scritta in arabo, la facciamo con quella?”. Gli iracheni urlano di gioia, un bel mercantile con scritta in arabo a prua. Il mercantile è il segnale, almeno per me. Scatto la foto agli iracheni e torno alla mia storia di mare.
Il battello naviga veloce, siamo nell’avamporto, quello dove manovrano le navi. Ecco la vecchia Torre Piloti, ingabbiata per lavori. Là davanti c’era la Torre buttata giù dalla Jolly Nero. Il battello è a quasi cinquecento metri, poco lontano dall’ingresso del canale di calma, quello lungo la Diga Foranea, e dove noi, manovrando a nostra volta, fra un po’ entreremo di prua, quando la Jolly Nero partita dal Molo Nino Ronco, a ponente, v’è uscita di poppa, e da dove, aiutata dai rimorchiatori, avrebbe dovuto girare, mettendosi di prua per lasciare il porto dalla Bocca di Levante.
E invece ha sbagliato tutto, sin dall’uscita dal canale. Si doveva fermare qui, a quest’altezza, a quasi cinquecento metri dalla Torre, e invece è uscita dal canale, andando molto più a sud, da dove, aprendo la curva, ha navigato a levante, dove c’era la Torre.
Il battello entra nel canale e m’accorgo che sono a poppa che traccio nell’aria la rotta del mercantile. Ma com’è possibile che abbia fatto un errore così? Il canale che costeggia la Diga Foranea è largo. Solo una nave ubriaca come la Jolly Nero poteva uscirne, sbagliando tutto.
E se avesse voluto fare quella curva per andare più vicino alla Torre e da lì prepararsi all’uscita? Perché l’allarme è stato lanciato quando la nave era ormai a pochi metri dalla Torre? Avrebbero dovuto lanciarlo prima e non l’hanno fatto. Forse perché qualcuno a bordo aveva deciso di manovrare altrove? Certo che, se dopo l’uscita dal canale scendi troppo a sud, qualcosa c’è che non va nel pilotaggio.
La Diga Foranea fa paura. È strano vedere quell’opera in muratura in mezzo all’acqua e sapere che al di là c’è il mare aperto. Ormeggiate ci sono alcune imbarcazioni con tanti copertoni sulla fiancata. A destra, venendo da levante, si vedono gru, navi, rimorchiatori. C’è vita nel canale.
Navigo con il battello lungo il canale e penso alla Jolly Nero che v’ha navigato con il contagiri del motore in avaria e con gente che comunicava con la sala macchine, quella con i marittimi russi, con cellulari e walkie talkie.
La navigazione lungo il canale non è rapidissima, nemmeno per un battello. Il pilota che doveva aiutare la Jolly Nero a uscire dal porto, dov’era lui quando la nave si trovava nel canale? Sì, era nell’aletta del ponte di comando, lo sappiamo, ma non s’è accorto, e di tempo n’aveva, che quella nave era una baraonda? E lui, che si trovava lassù, non s’è accorto che dopo l’uscita dal canale la nave andava troppo a sud e che s’allargava a levante?
Il mio battello naviga nel canale con il sole che ormai tramonta. Ecco il terminal dell’armatore Messina. Lo riconosci perché è tutto rosso, come il colore delle navi della flotta. Ormeggiata, dove la notte del 7 maggio c’era la Jolly Nero di poppa, c’è la Jolly Bianco che scarica la zavorra in mare. La partenza s’avvicina e anche lei uscirà di poppa, proprio come la Jolly Nero, anche ora che i dragaggi alla foce del Torrente Polcevera e alla Bocca di Ponente sono finiti.
Ora l’acqua è più profonda, ma lo era anche prima, vi potevano passare unità con pescaggio massimo di dieci metri, purché di modesto ingombro aereo, perché qua vicino c’è la pista dell’aeroporto e navi come la Jolly Nero o la Jolly Bianco, che con il carico sul ponte s’alzano ancora di più, non possono passare. Ora qui l’acqua è profonda tredici e mezzo, quattordici metri, ma le grandi navi continueranno a uscire di poppa. Navigando lungo il canale molte le abbiamo viste, tutte pronte a partire così.
Dopo la tragedia a Molo Giano si disse che la Jolly Nero non era uscita da ponente perché là il porto era insabbiato. Non è vero, era perché c’era il cono aereo. Ora a Bocca di Ponente è tutto libero, non c’è una draga e i lavori sono stati completati. Il porto di Genova si prepara al futuro, s’allestiscono i nuovi fondali, con la Diga Foranea che verrà spostata cinquecento metri più in là, verso il mare aperto, come dire addio al cono aereo e consentire anche alle grandi navi di passare da qui.
Il battello esce dal canale, la Bocca di Ponente è ormai a poppa. La navigazione prosegue e davvero la pista dell’aeroporto è a un tiro di schioppo dal terminal Messina. Il battello s’allontana dalla pista, navigando vicino al mare. Il sole è tramontato e noi siamo arrivati a Pegli. Il ragazzotto che armeggia con le cime come fossero lacci di scarpe cala la scaletta sulla banchina.
A Pegli ci sono le palme e le case colorate, mentre da lontano si vedono le petroliere e le grandi navi da crociera che navigano nel Mar di Liguria. Con una mano saluto il capitano, mentre il ragazzotto toglie gli ormeggi.
E' scesa la sera, si torna in città in tram. Ci sono anche gli iracheni, contenti d’aver navigato lungo il canale, anche se non era il Tigri. La mia giornata finisce al Porto Antico, davanti al mare. La Jolly Nero è a Molo Giano, mentre io sono qui che guardo la Lanterna mentre saluta con la sua luce le navi. La speranza è che non debba più vedere quel che ha visto quella notte.
Stefania Elena Carnemolla - Milano
Inchiesta che abbiamo pubblicato in tre parti, link:
- Jolly Nero, l'imperfezione nell'acqua di Genova
- A pochi passi dalla Jolly Nero
- In viaggio sulla rotta della Jolly Nero
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