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Container radioattivi in Africa: esiste un'organizzazione mondiale?
Una nave battente bandiera ombra, uno scalo a Malta, delle annotazioni cinesi sui documenti di carico e una società “fantasma” con sede in Algeria. Il "silenzio della stampa" e l'allarme lanciato a febbraio dal Dipartimento Usa
Ci sono verità che nessuno ha mai potuto svelare. “Cose grosse” che devono rimanere segrete perché la loro conoscenza produrrebbe effetti destabilizzanti sugli equilibri internazionali.
C'è però chi certi segreti ha potuto ugualmente intuirli, senza tuttavia riuscire a provarli sul piano giudiziario.
Capita così che le verità mai svelate rimangano solo dei sospetti ai limiti dell'incredibile, bagliori di realtà destinati a scomparire all'istante. Nel caso dei traffici di rifiuti radioattivi verso l'Africa si è vociferato molto in passato sull'esistenza di una non meglio precisata organizzazione collegata ai servizi segreti e vicina ad alcuni governi, in grado di gestire lo smaltimento illecito a livello planetario.
Questo scenario, in apparenza fantascientifico, è in verità molto più reale di quanto non si pensi. Della possibile operatività di questa «raffinata criminalità dove si muovono soggetti senza scrupoli, compresi uomini di governo» ne parlano informative dei carabinieri e confessioni di pentiti vecchie di quasi vent'anni. In quelle pagine si racconta la storia di un gruppo di persone con contatti e protezioni importanti, capaci di far sparire nel nulla tonnellate e tonnellate di scorie nucleari. Non si trattava ovviamente di prestigiatori ma di criminali a tutti gli effetti, abili a spedire quei rifiuti micidiali lontano dai luoghi in cui sono stati prodotti, infischiandosene delle conseguenze sulla salute delle popolazioni che si troveranno loro malgrado a conviverci.
Ma il tempo passa, la gente dimentica. Vuole dimenticare. Persino nella sfortunata Africa c'è chi ha creduto nel miraggio che il continente non fosse più la “pattumiera” del cosiddetto mondo industrializzato. Un'illusione che si è infranta il 9 aprile scorso nel porto di Algeri, quando sono stati scoperti tre container zeppi di rifiuti radioattivi. L'indagine per individuare i responsabili del traffico è tuttora in corso e protetta dal massimo riserbo, ma tra i pochi dettagli filtrati ce n'è uno particolarmente preoccupante. Gli investigatori algerini, ha scritto il quotidiano Le Soir d'Algerie, sospettano che esista un network mondiale dedito allo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi di cui, probabilmente, anche i servizi di sicurezza USA sono a conoscenza da tempo.
Rifiuti “made in China”
L'allarme rosso in Algeria era stato lanciato nel febbraio del 2013 niente meno che dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. In un incontro tenuto con le autorità algerine, convocato ufficialmente per «rafforzare la cooperazione per la sicurezza delle frontiere e contrastare il traffico illecito di materie nucleari e radioattive», i funzionari americani avevano messo in guardia sul pericolo che il Paese potesse diventare una porta d'ingresso per il materiale nucleare di contrabbando in arrivo nel Continente Nero.
Eppure alle domande dei giornalisti algerini, che chiedevano quanto questa minaccia potesse essere reale, era stato risposto che quell'incontro non era altro che un semplice «scambio di opinioni e informazioni» sulle attuali tendenze del contrabbando. Certo è però che prima di lasciare il Nord Africa, gli emissari di Washington avevano insistito sulla necessità di rafforzare i sistemi di controllo nazionali sull'esportazione, importazione, transito e trasbordo delle merci. Detto, fatto. Passano esattamente due mesi e in aprile, durante un controllo definito di routine, vengono scoperti nel porto di Algeri tre container di sei metri con all'interno una grande quantità di scorie radioattive sotto forma di minerale roccioso.
Secondo quanto riferiva il 16 maggio scorso Le Soir d'Algerie, il carico illecito sarebbe arrivato in Algeria a bordo della nave Nicolas, dopo uno scalo intermedio a Malta. Il cargo, battente bandiera di Antigua, proveniva dal porto cinese di Qingdao (città della provincia dello Shandong), uno dei terminal più trafficati del mondo, uno snodo ideale per nascondere delle merci che “scottano” tra i milioni di container in transito.
Dalle prime indagini si è scoperto che i tre contenitori intercettati ad Algeri erano stati importati da un operatore algerino, una ditta individuale riconducibile ad un soggetto di cui non sono state rese note le generalità, le cui iniziali sono T.N. Sono dunque state prese molte precauzioni per permettere ai veri responsabili della spedizione illegale di rimanere nell'ombra: una nave battente bandiera ombra, una scalo a Malta, delle annotazioni cinesi sui documenti di carico e una società “fantasma” con sede in Algeria.
L'episodio ha suscitato molto clamore in Algeria e in tutti i Paesi francofoni, dove si è ipotizzata l'esistenza di un traffico clandestino di rifiuti radioattivi tra l'Asia e il Nord Africa, proveniente forse da un sito nucleare cinese. Scorie nascoste in decine di container che riuscirebbero ad eludere ogni anno i controlli doganali algerini. Un business di proporzioni inimmaginabili di cui i tre contenitori scoperti ad aprile non sarebbero che la punta dell'iceberg.
Scorie in arrivo in tutto il continente africano
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) del 2006, i paesi africani sono le principali mete dei traffici illeciti di rifiuti nucleari. L'Algeria viene citata espressamente nel rapporto dell'UNEP insieme alla Repubblica Democratica del Congo, al Malawi, all'Eritrea, al Mozambico, alla Guinea-Bissau, alla Nigeria, al Namibia e alla Somalia.
Le stime sulle quantità di sostanze radioattive smaltite illecitamente sono invece piuttosto datate e forse anche poco attendibili, ma comunque significative per farsi un'idea del fenomeno. Ad esempio se diamo retta a quanto sosteneva nel 2001 Radio Afrika International, ogni anno finiscono in Africa circa 600.000 tonnellate di rifiuti nucleari.
Più recentemente i fragili equilibri politici di alcuni paesi hanno probabilmente contribuito a deviare le rotte dei veleni verso i territori desertici dell’Africa Occidentale. Sarebbe questa la nuova Tortuga presa d'assalto da “gentiluomini” spregiudicati, pronti ad approfittare dello stato di anarchia di questi luoghi per stoccare i loro indesiderabili rifiuti. Non è un caso che da qualche tempo girino strane voci, dei rumors, sulla presenza nel nord della Mauritania, poco distante dal confine algerino e dal Marocco, di alcuni uomini “d’affari”. Costoro sarebbero intenzionati ad entrare in contatto con degli esponenti del Fronte Polisario (l’organizzazione militante e politica attiva nel Sahara Occidentale nda) vicini ai jihadisti maliani, allo scopo di organizzare un traffico di rifiuti pericolosi in cambio delle solite cose: soldi o armi.
Non c'è dubbio che il Sahara e il Sahel siano luoghi perfetti per questo genere di crimini. Sono aree desertiche pressoché disabitate che possono servire per custodire dei segreti scomodi. Lo avevano capito già negli anni '80 i membri delle logge massoniche e delle multinazionali coinvolte nel famigerato “Progetto Urano”, ovvero lo smaltimento di rifiuti, anche nucleari, in una depressione dell’ex Sahara spagnolo.
Oggi ci sono chiari segnali che sembrano annunciare il ritorno di certe trame oscure.
Un network delle scorie di caratura internazionale
Dopo il ritrovamento dei tre container radioattivi di origine ignota, gli investigatori algerini non hanno avuto dubbi, rivelando che questo traffico sarebbe organizzato da una pericolosa rete globale. Secondo la stessa fonte, «l'obiettivo dei leader di questa organizzazione è quello di trasportare e disperdere nel continente africano sostanze radioattive». Scorie prodotte in occidente o in Asia, un continente che continua il suo rapido sviluppo economico proprio mentre l'Africa si dibatte nelle sue eterne sofferenze. Ecco come l'Algeria sarebbe divenuta un “hub” internazionale per questo tipo di operazioni che verrebbero portate a termine attraverso i canali già rodati del traffico di eroina. Il materiale radioattivo potrebbe arrivare dai porti delle città costiere cinesi di Qingdao, Shanghai, Tianjin e Guangdong, notoriamente utilizzati dai trafficanti per spostare i carichi di droga verso ovest.
Rimane da capire se le autorità algerine saranno in grado di far fronte ad una minaccia che sembra avere ramificazioni su scala planetaria. Intanto, dopo il clamore iniziale, l'inquietante caso dei container radioattivi è stato completamente dimenticato dalla stampa. Ci sono verità, si diceva, che nessuno ha mai potuto svelare...
Massimiliano Ferraro - Imperia
- Foto di copertina: il porto di Algeri / Credit: Andrew Mehir
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